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sanzioni occidente

Non si cede

È inutile nascondere la tentazione di trovare un accordo, di arrendersi di fronte all’orrore della guerra. Una tentazione da respingere con fermezza, per evitare di lasciare margini di manovra al dittatore di Mosca.
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Non si cede

È inutile nascondere la tentazione di trovare un accordo, di arrendersi di fronte all’orrore della guerra. Una tentazione da respingere con fermezza, per evitare di lasciare margini di manovra al dittatore di Mosca.
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Non si cede

È inutile nascondere la tentazione di trovare un accordo, di arrendersi di fronte all’orrore della guerra. Una tentazione da respingere con fermezza, per evitare di lasciare margini di manovra al dittatore di Mosca.
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È inutile nascondere la tentazione di trovare un accordo, di arrendersi di fronte all’orrore della guerra. Una tentazione da respingere con fermezza, per evitare di lasciare margini di manovra al dittatore di Mosca.
La tentazione esiste e non bisogna aver paura di parlarne. La tentazione di provare a capire cosa cedere a Putin, senza umiliarci troppo e sperando di soddisfare abbastanza l’appetito di un uomo ossessionato dai suoi disegni egemonici. Scriviamolo in modo crudo, ma realista: la tentazione di arrendersi senza dirlo. Di accomodarsi in qualche modo, pur di fermare il massacro di un Paese e ridurre le ondate di paura che giorno dopo giorno si fanno più alte e visibili a casa nostra. Una tentazione da respingere con quella stessa fermezza e rapidità che proprio il dittatore di Mosca non si aspettava, costringendolo ad alzare continuamente la posta. Se scriviamo di ‘resa’ è per ricordare che l’obiettivo della guerra di Vladimir Putin siamo noi, che nel centro del suo mirino – oltre agli ucraini – c’è l’Occidente. I nostri vitali interessi economici e geostrategici, ma non solo. Un conflitto del genere, condotto senza porsi ormai il minimo scrupolo per i civili, in cui si dà l’assalto a una centrale nucleare rischiando l’indicibile, non è paragonabile alla Crimea o al lungo attrito nel Donbass. È un salto di qualità di portata storica a cui si può rispondere solo con una reazione uguale e contraria. Non la guerra sul campo che non vogliamo e possiamo fare, oltre il rifornire di armi gli ucraini e sperando sempre che Putin non tocchi i Paesi baltici della Nato. Parliamo della guerra economica, quella sì. Già cominciata, come a Mosca non si sarebbero aspettati e destinata a salire ancora di livello, con l’obiettivo dichiarato di portare al default la Russia. Una prospettiva terribile in ogni caso, che diventa angosciante se si ha un esercito impegnato sul campo di battaglia. È partita così una corsa contro il tempo, fra l’Occidente che mira a disarticolare finanziariamente Putin e quest’ultimo che deve vincere sul campo a ogni costo, prima che tutto diventi ‘troppo’ in termini di perdite e ingestibile situazione economica. È un nuovo equilibrio della paura, in cui i margini di trattativa potranno emergere solo impantanando sul terreno l’esercito di Mosca e facendo scricchiolare il fronte interno. Inutile farsi illusioni diverse: finché Vladimir Putin sentirà di avere ancora dei margini militari e finanziari andrà avanti, cercando di schiacciare il nemico e di fatto indifferente alle vittime civili. Per chi dovesse ancora nutrire dei dubbi, torniamo a quanto accaduto a Zaporizhzhia: a poche ore dall’ok ai corridoi umanitari, i russi hanno assaltato la centrale nucleare più grande dell’Ucraina mettendo in conto conseguenze potenzialmente catastrofiche. A casa nostra, inteso come Occidente, non sarà facile resistere alla tentazione di cui sopra: alla stanchezza, alla paura, alla voglia di tornare alla nostra vita e ai nostri affari. Tutti vogliamo riprendere a parlare e a fare business con i russi, ma non a qualsiasi costo. Non ora, mentre Kiev muore, mentre Putin sogna una nuova Yalta con sé stesso al posto di Stalin e l’Ovest senza Roosevelt e Churchill. Anche l’Italia pagherà un prezzo, conosciamo tutti i costi ipotetici legati a un prolungarsi del conflitto e a rapporti ormai ridotti e ai minimi termini con la Russia. Il governo ha due priorità: lavorare per contenere in emergenza e in modo strutturale il problema della nostra dipendenza dal gas di Mosca (continuando ad aggiornare la pubblica opinione, per non lasciar spazio all’idea di un Paese a rischio black out) e mantenere al contempo l’Italia schierata sul fronte occidentale senza cedimenti. Oggi può apparire scontato, ma ogni singolo giorno è un macigno e una sofferenza. Qualcuno potrebbe essere tentato – più o meno in buona fede – di cavalcare l’onda dello sfinimento per il dolore, le immagini insopportabili e un concetto ormai a noi estraneo come quello della guerra. Ma in guerra non esistono scorciatoie.   di Fulvio Giuliani

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