La scarcerazione in attesa di processo di Patrick Zaki, detenuto da 22 mesi in Egitto, è una bella notizia. Che non merita alcun festeggiamento ma un’attenta analisi. Quanto capitato allo studente egiziano dell’Università di Bologna – finire in galera per aver criticato via Facebook il regime al potere nel proprio Paese – è inaccettabile. Per il nostro modo di concepire lo Stato di diritto, le libertà individuali e il rispetto della dignità umana.
Eppure quel colpo di Stato lasciò indifferenti (eufemismo) le cancellerie occidentali. Se nessuno fiatò allora è perché tutti furono più che felici della fine di una formazione politica pericolosamente ambigua – a voler essere ottimisti – nei confronti del fondamentalismo islamico. Democraticamente eletta e maggioranza nel Paese, ma il nostro mondo non fece una piega quando fu spazzata via da Al Sisi. Con questo signore, del resto, l’Occidente sa di dover convivere, Italia compresa. La vicenda di Patrick, in questo quadro, non poteva essere lasciata alle pur comprensibili rimostranze pubbliche o all’indignazione popolare.
Sono faccende dolorose e complesse che possono trovare una soluzione solo attraverso la diplomazia. Quella ufficiale e ancor più quella sommersa (non ‘segreta’, il che evocherebbe chissà quali misteri indicibili). Parliamo di quella rete fittissima di rapporti che da sempre permette agli Stati di mantenere aperte linee di dialogo anche con i governi ‘scomodi’.
Obbligo morale e politico dell’Italia era salvare Zaki e al contempo non perdere l’Egitto. Se tutto andrà come sembra, il doppio risultato sarà stato garantito, permettendo magari a Patrick di scegliere come patria adottiva il nostro Paese (Maurizio Stefanini ha spiegato ieri su queste pagine quale potrebbe essere l’escamotage giuridico: considerare già scontata la pena con i 22 mesi di carcerazione preventiva) e al contempo non stressare ancora i rapporti fra Roma e il Cairo, già messi duramente alla prova dalla vicenda di Giulio Regeni. Storia diversa nella sua drammaticità, in cui altri governi non si sono assunti le proprie responsabilità, a partire da quello britannico.
L’Egitto resta un partner insostituibile in uno scacchiere in cui l’Italia ha rilevantissimi interessi. Senza l’Egitto non avremmo una strategia in Libia e saremmo scoperti nel controllo di movimenti antioccidentali, per i quali Al Sisi si propone come argine. Ancora, è nota la dipendenza energetica dell’Italia dalla Russia e proprio l’Egitto – con l’immenso giacimento di gas appaltato all’Eni – costituisce una delle nostre riserve energetiche strategiche. La realtà è complessa e non sempre bella da raccontare, ma l’onestà intellettuale paga sempre.
Di Fulvio Giuliani
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