Senza Tenco ma con le sue canzoni
La notte del 27 gennaio di 55 anni fa ci lasciava in maniera tragica uno dei cantautori più incisivi del panorama musicale. Mai uguale a sé stesso, mai banale, paladino dell’amore incompreso, a suo agio e credibile anche nelle canzoni più impegnate contro la guerra.
Senza Tenco ma con le sue canzoni
La notte del 27 gennaio di 55 anni fa ci lasciava in maniera tragica uno dei cantautori più incisivi del panorama musicale. Mai uguale a sé stesso, mai banale, paladino dell’amore incompreso, a suo agio e credibile anche nelle canzoni più impegnate contro la guerra.
Senza Tenco ma con le sue canzoni
La notte del 27 gennaio di 55 anni fa ci lasciava in maniera tragica uno dei cantautori più incisivi del panorama musicale. Mai uguale a sé stesso, mai banale, paladino dell’amore incompreso, a suo agio e credibile anche nelle canzoni più impegnate contro la guerra.
La notte del 27 gennaio di 55 anni fa ci lasciava in maniera tragica uno dei cantautori più incisivi del panorama musicale. Mai uguale a sé stesso, mai banale, paladino dell’amore incompreso, a suo agio e credibile anche nelle canzoni più impegnate contro la guerra.
Ci sono artisti la cui storia è inevitabilmente intrecciata al finale, all’ultimo atto, quasi a volerne monopolizzare il ricordo, il lascito. Il rischio è quello di perdere di vista quanto realmente prodotto in vita, il solco delle loro opere nel flusso dell’arte.
Uno di questi è indubbiamente Luigi Tenco, che il 27 gennaio di cinquantacinque anni fa – durante la dodicesima edizione del Festival di Sanremo in cui era in gara – si sparò in testa una volta rientrato in hotel. Era nato 28 anni prima in provincia di Genova, città al cui filone cantautorale diede lustro insieme ad artisti del calibro di Gino Paoli, Fabrizio De André e Bruno Lauzi, che iniziavano in quegli anni a smuovere le acque e a proporre una musica che esponesse tematiche di rottura, con uno stile più ricercato rispetto al mood imperante in quegli anni, fatto di canzoni spensierate e di ampio respiro. Tenco non riuscì mai ad avere questo approccio leggero nella sua musica, lui che era stato immerso in vari generi fin da quando con la madre si era trasferito a Genova, crocevia di diverse espressioni musicali. E proprio da questo mare di melodie seppe sintetizzare nel corso della sua breve carriera uno stile unico, riconoscibile al primo ascolto, sia nell’utilizzo della voce – profonda ed espressiva, spesso terribilmente malinconica – sia nella costruzione di arrangiamenti sapientemente dosati, dai brani orchestrali a quelli più intimi, retti qua dalla chitarra e là dal solo pianoforte.
Se lo stile fu inconfondibile – contrariamente a quanto la volgata comune spesso è solita sottolineare, cadendo nel tranello dell’associare un artista a un solo periodo della propria produzione – Luigi Tenco non fu quasi mai uguale a sé stesso, così attivo in un decennio esplosivo della storia italiana attraversato da diversi moti sociali e dall’inizio della lotta studentesca. Tutte sfumature e tematiche che confluirono nella sua produzione. Scorrendo i cento brani o poco più dei suoi otto anni di carriera, ci si imbatte nel Luigi malinconico e nostalgico di canzoni come “Lontano lontano”, “Vedrai vedrai” e “Mi sono innamorato di te”, che canta di storie di vita quotidiana, di amori mancati e di speranze deluse. Ma anche in brani di protesta come “Cara Maestra”, “Ognuno è libero” e “Se ci diranno” contenuti, quest’ultimi due, nel suo ultimo album del 1966 inciso per Rca, in cui Tenco raggiunse il punto più alto di questo filone. Non possiamo sapere dove la ricerca lo avrebbe portato se quella notte di gennaio non si fosse tolto la vita.
Ancora oggi c’è chi solleva numerosi dubbi su cosa sia effettivamente successo in quelle ore, viste le versioni contrastanti di chi ha condotto le indagini, i tanti errori procedurali e i dubbi sollevati da alcuni per le perizie calligrafiche fatte a trent’anni di distanza. Ciò che è realmente successo non lo sapremo mai. E forse a chi ha amato e ama la sua musica non interessa nemmeno più di tanto saperlo: basta mettere su un disco e immaginarlo fischiettare e andarsene tranquillo, come sulla coda di “Un giorno dopo l’altro”, mentre «gli occhi intorno cercano quell’avvenire che avevano sognato. Ma i sogni sono ancora sogni e l’avvenire è ormai quasi passato».
di Federico Arduini
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Tag: Festival, Musica italiana
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