All’ennesimo «Non piangere, non sei una femminuccia» nei confronti del figlio in lacrime Maria non ci ha più visto. Ha aspettato che Tommaso entrasse a scuola e poi ha guardato il marito con uno sguardo che non ammetteva repliche, chiedendogli di parlare.
Maria ha intimato a Luca di non usare mai più quel genere di espressioni con il figlio. Di smetterla di regalargli solo giochi che piacciono a lui, il papà. Di provare ad ascoltarlo, a capire. Maria non vuole che il loro figlio cresca incasellato in stereotipi e griglie prestabilite. Ha sei anni e il mondo da scoprire. Vuole che si senta libero di giocare e di esprimersi come meglio crede. Vuole seguire e capire le sue inclinazioni. Vuole saperlo libero di scegliere.
Ha notato che pur giocando spesso con soldatini, mostri e dinosauri nel farlo non ha la stessa passione di quando gioca a cucinare con il completo da chef. La sera prima ha visto i suoi occhi brillare di curiosità mentre la guardava truccarsi. Lei, senza alcuna esitazione, gli ha chiesto se volesse provare anche lui quei trucchi.
Tommaso, esitando, ha detto no, ma era evidente come una parte di lui volesse farlo. Anche in quel caso il commento del marito era stato di smetterla di proporre quei giochi da femmina che non interessano ai maschi.
Non è così per Maria. Lei osserva e nota che per curiosità, per affinità, per desiderio di scoperta (a lei non interessa il perché) il figlio vuole conoscere e capire anche giochi arcaicamente classificati come femminili. Ed è giusto lasciarlo libero di farlo.
Luca fa fatica a capire i discorsi della moglie. Lui, cresciuto esattamente in mezzo a quegli stereotipi che Maria vuole abbattere. Volendo il bene del figlio e fidandosi della moglie, pur non capendo fino in fondo, accetta di assecondarla. Si morde la lingua e osserva. E la sera vede un altro Tommaso, sorridente e sereno mentre con un po’ di phard gioca a preparare la cena a mostri e dinosauri.
di Lady Jane
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