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Un anno asteriscato

Si chiude l’anno più politicamente e ipocritamente corretto della storia, a partire dagli asterischi a fine vocabolo per ‘rispettare’ l’interlocutore e la sua fluidità di genere. La verità è che asteriscare il linguaggio e la vita resterà un esperimento collettivo non riuscito con gli italiani.
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Si chiude l’anno più politicamente e ipocritamente corretto della storia. Mai in passato abbiamo letto tanti asterischi a fine vocabolo a ‘rispettare’ l’interlocutore e tutta la sua fluidità di genere. Tantissimo fumo a cui mai è seguito arrosto. Qualche comparsata tv in più di alcune scrittrici, qualche smalto nero no gender in più sul mercato, qualche titolo di giornale in più per compagnie aeree che hanno cancellato il «Signore e signori, benvenuti a bordo» poco inclusivo, qualche re-tweet di pubblicità universitarie tutte asteriscate. Tutto qui. Anche legare la proposta di legge Zan agli asterischi di fatto è stato un tentativo sbagliato di dividere i buoni dai cattivi, alla fine dimostratosi anche inutile.

Potrei scrivere di mille altri esempi, così come degli inginocchiamenti come trasfigurazione plastica dell’asterisco in salsa razziale; la verità è che asteriscarci il linguaggio e la vita resterà un esperimento collettivo non riuscito con gli italiani. La nostra lingua è bellissima e magica, piena di un fascino e di una storia che hanno poche lingue al mondo. E nessuna tastiera evoluta di pc con asterischi e dittonghi – ne inventeranno anche con percentuali di genere prima o poi, smentendo loro stessi – riuscirà mai a romperne la poesia.

Dovranno cambiare target, i narcisi del politicamente corretto. Alzeranno il livello ben oltre il linguistico e inizieranno a minare i ricordi oltre che le parole, allargando il campo a tutto il non corretto.

Qualche prodromo del revisionismo culturale inizia a emergere. Da un po’ ormai la Disney accompagna i suoi film storici con un avviso in cui prende le distanze dai contenuti stereotipati e razzisti. Adesso quel messaggio è stato aggiornato: invece di rimuoverli, si legge nell’avvertenza all’inizio della proiezione: «Vogliamo che si conosca il suo impatto doloroso e sviluppare un confronto per creare insieme un futuro più inclusivo».

Peggio non potevano aggiornarlo. Si va da “Gli Aristogatti” dove un micio dal muso giallo e con gli incisivi pronunciati suona il pianoforte con le classiche bacchette cinesi, al film “Peter Pan” in cui i nativi indiani vengono chiamati pellerossa. In “Dumbo” i corvi che insegnano all’elefantino a suonare hanno una voce esageratamente da neri mentre il loro capo si chiama Jim Crow, il nome delle leggi segregazioniste in vigore negli Stati del Sud dalla Guerra civile fino agli anni Sessanta.

Non so voi, ma io non priverò mai i miei figli de “Gli Aristogatti”; con loro ho visto tutte le possibili edizioni di “Peter Pan” e “Dumbo” lo evito perché mi fa ancora piangere. A fine film non commenterò mai i denti del muso giallo che suonava il pianoforte ma quanto il perfido maggiordomo Edgar, come tutti coloro che sono dalla parte sbagliata, alla fine abbia perso la partita. Non credo che sia una guerra tra conservatori e progressisti, piuttosto tra finzione e realtà.

Tra un asterisco e la libertà di pensiero, ma anche tra il politicamente corretto e l’onere ben più faticoso di spiegare alle nuove generazioni i valori e come rispettarli. Pensate per un secondo al politico che stimate di più e a quello che stimate meno. Entrambi hanno visto “Gli Aristogatti”, ve lo garantisco. E non ne hanno tratto nessun impatto doloroso. Hanno deciso di diventare quello che sono. Senza asterischi.

 

Di Peter Durante

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