La telefonata tra Biden e Xi Jinping ha sancito il nuovo equilibrio del potere: Usa e Cina sono le superpotenze universali perché economicamente e militarmente forti. La Russia, invece, è fuori classifica.
Benvenuti nel nuovo mondo, dove le potenze globali devono essere economiche e nucleari assieme perché tertium non datur. La telefonata tra il presidente americano Joe Biden e quello cinese Xi Jinping ha sancito, di fatto, il nuovo equilibro del potere: Stati Uniti e Cina sono potenze universali perché fortissime economicamente e dotate di potenti armi nucleari.
Parlando al presidente Usa, ha detto Xi: «In quanto membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e maggiori economie, non dovremmo solamente portare le relazioni bilaterali sulla strada giusta, ma anche assumerci la responsabilità internazionale di mantenere la pace globale» perché «il conflitto e lo scontro non sono nell’interesse di nessuno». Nel colloquio con Biden, Xi ha poi evidenziato che «le relazioni tra Stato e Stato non possono arrivare alla fase del confronto militare. Conflitto e confronto non sono nell’interesse di nessuno poiché la pace e la sicurezza sono i tesori più cari della comunità internazionale».
Applichiamo adesso, oltre le parole e la loro retorica, una fredda logica matematica al gioco del potere. Una logica dove A sta per potenza economica e B sta per forza militare nucleare. Stati Uniti e Cina sono la somma di A + B.
La Russia, che con l’invasione armata dell’Ucraina ha innescato questo rimescolamento globale del comando, di lettere ha soltanto la B (quella della potenza armata nucleare) poiché economicamente è debole, nonostante la sua ricchezza di materie prime. L’Unione europea, in questo risiko che ridisegna sé stesso, è invece una potenza A (economica) cui manca la B, la forza armata nucleare.
Per questo, il giorno dopo la telefonata tra Biden e Xi, assumono un sapore diverso e ancor più interessante le parole pronunciate giovedì dal presidente francese Emmanuel Macron, quando ha sottolineato la necessità di «intensificare gli investimenti in armamenti per saper affrontare una guerra ad alta intensità». Non si trattava soltanto di un monologo per l’autodifesa bensì di una necessità politica affinché la Francia e quindi l’Unione europea possano partecipare al nuovo casinò del potere, dove per sedersi al tavolo servono le fiches A e B.
E qui il mappamondo non può che tornare a colui che tutto questo mutamento ha innescato, confondendo gli effetti delle proprie azioni con le nostalgie: a Vladimir Putin. Di fatto l’invasione russa dell’Ucraina ha segnato il game over del mondo uscito dal dopo Yalta, un mondo in cui lo stesso Putin – cresciuto politicamente nel trauma del crollo del Muro di Berlino e dell’Unione Sovietica – ha scelto di guardare al Novecento anziché al futuro.
Un’invasione da secolo scorso la sua, in nome della minoranza russa nel Donbass, della terra e persino della Bibbia, che non poteva che perdere davanti al mondo nuovo di Cina e Stati Uniti. Non per una questione manichea, del bene contro il male. Bensì per uno sbaglio: politico, tattico, storico.
Uno sbaglio assai peggiore – per chi aspira a essere un ‘demone’ del mondo e del comando – della stessa immoralità.
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