Con il ritiro della candidatura di Silvio Berlusconi alla Presidenza della Repubblica, trovare un nome condiviso resta un obiettivo tutt’altro che raggiungibile.
Silvio Berlusconi, dunque, si è arreso ieri, ritirando la sua candidatura alla Presidenza della Repubblica. Si è arreso all’evidenza della totale mancanza di appoggio dei suoi (molto presunti) alleati. Prima ancora dei numeri in Parlamento, evidentemente insufficienti oltre ciò che lo stesso leader di Forza Italia ha tenuto a far sapere per poter parlare di “passo indietro nell’interesse del Paese“, ciò che veramente è venuto meno è esattamente questo: la fiducia di chi avrebbe dovuto riconoscere per un’ultima e suprema volta la sua indiscutibile leadership.
Più che a far tirare un sospiro di sollievo al vecchio mondo che alla folle idea dell’ex- cavaliere di correre per il Quirinale aveva improvvisamente riscoperto antichi e comodi fantasmi propagandistici, l’addio di Silvio è utile a far cadere una buona volta il velo davanti questa clamorosa e ipocrita finzione che è l’alleanza di centrodestra. Coalizione che non esiste più da una vita, ma in cui i protagonisti continuano a far finta di credere per esclusivi interessi personali.
Da ieri è francamente ridicolo pensare che il centrodestra sia quello narrato sempre più stancamente negli ultimi anni. Berlusconi non ha neppure partecipato alla comunicazione del suo addio, in segno di supremo disprezzo nei confronti dei vari Salvini e Meloni che lo hanno letteralmente lasciato solo a metà del guado.
Un nome condiviso, in questo momento, è pura fantasia e quelli che circolano sono così pallidi da far pensare che vengano messi in giro unicamente per prendere tempo e coprire maldestramente il totale spaesamento.
Così, come racconteremo anche nel podcast “Caffè al Colle“ de La Ragione a questo link potrà avvenire di tutto. Perché Berlusconi ha comunque lasciato sul terreno un ulteriore frutto avvelenato: il No a Mario Draghi al Quirinale, sotto forma di appello a che continui a fare il suo lavoro.
Vecchie ruggini, anche personali, che rendono più complicato il quadro per la Presidenza, ma ancor di più – come andiamo ripetendo da giorni – per il vero tema sul tavolo: il governo.
di Fulvio Giuliani
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