Ci sono diverse ragioni per cui l’Occidente continua a negoziare. La più importante ha a che fare con la legittimazione dell’uso della forza: dopo aver cercato più volte un compromesso non si ha altra scelta che agire. E questo Putin lo sa.
Mentre i missili cadono dal cielo le proposte di negoziato fioccano nel nulla. C’è una ragione per cui l’Occidente non smette di cercare il dialogo e un accordo, sapendo bene che dall’altra parte, da Putin e quel che domina della Russia, non s’intende raggiungere alcun accordo che non sia la resa totale. Quella ragione è ora di cominciare a guardarla in faccia, perché meno remota di quel che s’osa dire.
Noi, l’Occidente, possiamo mettere nel conto le carneficine e l’avanzare degli invasori russi, ma non possiamo mettere nel conto la resa. Non è (solo) una questione di principio e diritto né (solo) d’orgoglio. È una questione di sopravvivenza.
Negoziare la resa, cedendo l’aggredito all’aggressore, significherebbe certificare la debolezza delle democrazie e avviare il loro disfacimento. Negoziare la resa significherebbe perdere qualsiasi argomento nel sostenere la forza dell’Occidente, perdendo ogni energia morale. È talmente evidente che, a parte qualche grumo di venduti e qualche residuato di sprovveduti, non s’è mai vista una tale unità e compattezza dell’Occidente.
Se, una volta constatata la impossibilità di prendere l’Ucraina – o almeno le città chiave – con un unico e possente assalto, una volta preso atto della risposta univoca occidentale e dell’agire coraggioso e corale della resistenza ucraina, se dopo ciò la condotta russa ha fatto degli obiettivi civili il suo prevalente bersaglio, una ragione c’è.
E non è solo la disperazione del pantano in cui sprofondano. È la scelta fatta da Putin di rendere non solo impossibile, ma anche improponibile un negoziato. Comportandosi da criminale ha bruciato i ponti e tolto da qualsiasi tavolo l’ipotesi che si possa trattare con chi dovrebbe finire davanti alla Corte penale internazionale. Tale scelta è indirizzata all’esterno, per rendere chiaro che nulla può frapporsi al suo disegno imperialottocentesco.
Ma è diretta anche all’interno: essendo la sfida fra vita e morte sarà soppresso chiunque si frapponga. Tale condizione, unita alla rovina economica indotta dalle sanzioni, indica all’apparato russo la necessità di scegliere: o con Putin fino in fondo o Putin a fondo.
Perché, allora, continuiamo a dirci che si deve negoziare? Primo, meno rilevante: perché magari ci si riesce, qualcuno trova la chiave, il padrone cinese si fa valere e così via declinando speranze. Legittime, oltre che pie.
Secondo, più importante: perché avere cercato continuamente il dialogo è il nostro modo di legittimare l’uso della forza. Non vogliamo neanche dircelo, tanto sarebbe meglio evitarlo, ma questo è sullo sfondo. Non possiamo mollare l’Ucraina perché molleremmo noi stessi. Possiamo aiutarla in un combattimento lungo, che il tempo ora lavora contro Putin. Se questo gli fa perdere il controllo e a Mosca non lo cancellano, resta l’uso della forza.
Nel mondo libero, nel nostro mondo, l’opinione pubblica conta e già si sente dire che la guerra sta durando troppo a lungo, mentre ci si lamenta per il prezzo alla pompa, supponendo sia scontato esista una pompa. Quindi è decisivo il modo in cui si procede. Ma la forza armata è parte della realtà. Ragione per cui, da qui agli anni che ci vorranno per ristabilizzare gli equilibri continentali, nessun Paese occidentale potrà essere governato da chi in questa fase suppone di potere andare appresso a Mosca né da chi non riconosca le conseguenze del nuovo debito europeo che per finanziare la forza sarà necessario.
Ai pacifisti sentimentali saranno lasciate le piazze, perché queste sono la democrazia e la libertà. Evviva. Ma a quelli convinti che sia bene lasciar vincere Putin saranno preclusi i governi. Con il consenso degli elettori.
di Davide Giacalone
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