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Il bersaglio è la popolazione

Sasha ha 9 anni. Sotto l’attacco russo ha perso suo padre e le è stato mutilato un braccio. “Spero sia stato un errore”, dice nella sua innocenza: non vuole credere che qualcuno possa averla colpita intenzionalmente. Ma, purtroppo, non ci sono errori: i civili sono diventati un obbiettivo per l’esercito russo.

Il bersaglio è la popolazione

Sasha ha 9 anni. Sotto l’attacco russo ha perso suo padre e le è stato mutilato un braccio. “Spero sia stato un errore”, dice nella sua innocenza: non vuole credere che qualcuno possa averla colpita intenzionalmente. Ma, purtroppo, non ci sono errori: i civili sono diventati un obbiettivo per l’esercito russo.

Il bersaglio è la popolazione

Sasha ha 9 anni. Sotto l’attacco russo ha perso suo padre e le è stato mutilato un braccio. “Spero sia stato un errore”, dice nella sua innocenza: non vuole credere che qualcuno possa averla colpita intenzionalmente. Ma, purtroppo, non ci sono errori: i civili sono diventati un obbiettivo per l’esercito russo.
Sasha ha 9 anni. Sotto l’attacco russo ha perso suo padre e le è stato mutilato un braccio. “Spero sia stato un errore”, dice nella sua innocenza: non vuole credere che qualcuno possa averla colpita intenzionalmente. Ma, purtroppo, non ci sono errori: i civili sono diventati un obbiettivo per l’esercito russo.
Sasha, che a 9 anni ha perso un braccio, si chiede perché i russi le abbiano sparato. «Spero sia stato un errore» dice nell’innocenza della sua infanzia. La sua vita è cambiata per sempre, ha perso un arto e suo padre è morto, ma lei continua a non riuscire a immaginare che qualcuno possa averle fatto del male intenzionalmente. E invece è proprio quello che sta avvenendo. Non ci sono errori, colpi partiti per sbaglio: i civili sono diventati un obbiettivo per l’esercito russo. Lo dimostra quello che avviene a Mariupol, dove è stato bombardato un teatro trasformato in rifugio. La stessa città in cui 400 persone – medici, infermieri e malati – sono in ostaggio dei militari di Putin. Neanche dall’ospedale si può scappare. Neanche chi sta male viene lasciato evacuare. Chi tenta la fuga viene ucciso. A Nord di Kiev dieci persone sono state ammazzate mentre erano in coda per il pane. Non serve ribadire come tutto questo sia assolutamente disumano. Così come è chiaro che in Ucraina non muoia solo chi combatte ma soprattutto le persone inermi. I russi cercano di impedire che trovino riparo, ad esempio nei sotterranei delle metropolitane: sono almeno 15mila le persone che in queste settimane a Kiev hanno preso le loro cose e si sono rifugiate nelle stazioni sottoterra. LEGGI TUTTI GLI ARTICOLI “IL DOLORE DELLA GUERRA” Non può essere quindi un caso né un errore il fatto che sia stato colpito proprio l’ingresso di una di queste. Così come che Mosca abbia iniziato a bombardare la città di Zaporizhzhia, dove sorge la centrale nucleare più grande d’Europa, destinazione di quelle poche migliaia di persone che da Mariupol sono riuscite a scappare. A dimostrazione che persino i corridoi umanitari si trasformano in trappole mortali. È questo l’aspetto se possibile più sconcertante e incomprensibile di una guerra già di per sé assurda e insensata: davanti a una nazione che non si piega e che a dispetto delle previsioni del presidente russo sta provando a resistere, la strategia è quella del massacro indiscriminato. Chi è rimasto per documentare quello che sta accadendo lo ribadisce con le immagini e con i racconti: sono palazzi e abitazioni a essere bombardate, non obbiettivi militari. Una morsa da cui sembra impossibile scappare: anche coloro che si sono messi in macchina per portare via la propria famiglia lo hanno fatto rischiando di essere fermati o uccisi. Non è un caso che fiocchino i paragoni con quanto già accaduto nella ex Jugoslavia. I responsabili di quelle operazioni di pulizia etnica sono stati poi condannati per genocidio ma sembra davvero che la Storia, con il suo carico di orrori, a qualcuno non abbia insegnato nulla. «Fino a un mese fa avevo la mia vita, guardavo dei film con i miei figli, cucinavo o ordinavo una pizza. Ora alle 5 del mattino vengo svegliata dai bombardamenti sulla mia città» racconta una deputata ucraina mentre l’account del Parlamento ucraino diffonde la foto di una bimba, i riccioli chiari e una maglietta rosa, stretta nell’abbraccio dei genitori in mimetica. Madri e padri in lacrime che vanno a combattere una guerra che nessuno in Ucraina ha voluto. Lì non si assiste a uno scontro fra due popoli, non c’è nessuna storica inimicizia ma semmai famiglie metà russe metà ucraine separate da un confine che è diventato invalicabile. Ostaggi innocenti di chi sembra ispirarsi ai peggiori dittatori del passato. Di Annalisa Grandi

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