Quando un’azienda chiude il compito dello Stato non è quello di prendere il suo posto nel pagare i dipendenti, senza neanche tentare di produrre un qualche bene o servizio. Questo vale anche per la compagnia aerea Air Italy.
Quando un’azienda chiude il compito dello Stato non è quello di prendere il suo posto nel pagare i dipendenti, senza neanche più tentare di produrre un qualche bene o servizio. Retribuire il non lavoro non è una politica sociale, ma un modo asociale di far crescere debiti improduttivi, quindi la miseria. E non c’è nulla di più asociale della miseria.
Il nostro sistema produttivo è forte e sa competere, lo ricordiamo spesso e dovremmo farlo ancora più spesso, ma ci si ricordi anche che veniamo da una lunga stagione di bassissima crescita, quando non di arretramento. Eppure il nostro sistema produttivo è lo stesso, ma a produrre quel mesto risultato era la media, il peso morto di quel che non è produttivo, ivi compresa una malintesa socialità.
Certo, non è facile spiegare ai 1.322 dipendenti di Air Italy che tocca loro un trattamento diverso rispetto a quello consentito per Alitalia. Facile, invece, è capire che moltiplicando le Alitalia non si è divenuti un Paese più equo e sociale, ma più indebitato e incapace di crescere. È comprensibile che chi perda il posto di lavoro cerchi protezioni, ma non lo è che chi governa s’affretti a dire che si deve creare un fondo per finanziare il non lavoro, perché il dovere di chi governa non è quello si sostituirsi al mercato ma di assicurare che ci siano le condizioni perché il mercato crei opportunità per quei lavoratori.
Se c’è lo spazio per una compagnia aerea altri capitali affluiranno a realizzarla, divenendo secondario che siano italiani o stranieri. Se lo spazio non c’è, allora si genererà altro, in un mondo che cresce. Lo Stato può lavorare alla formazione individuale, all’uso saggio dei fondi europei (la Regione Sardegna, proprio per Air Italy, ha attivato quello per l’adeguamento alla globalizzazione), ma sempre indirizzando gli sforzi al tornare il più lestamente possibile alla produzione di ricchezza. Mentre stagnare nel suo consumo significa cancellare anziché propiziare occasioni di lavoro.
Purtroppo il riflesso condizionato del partito unico della spesa pubblica – da destra a sinistra, da sopra a sotto – è sempre quello di usare le casse pubbliche per compensare ogni genere di fallimento. Come se quelle casse siano inesauribili e come se la dignità del cittadino stia tutta nel potere consumare e mai nel potere tornare a produrre. Pensandola così, la sola differenza fra chi governa e chi si oppone è che i primi promettono e i secondi premettono che è troppo poco. Invece è sbagliato.
Se si preferisce continuare a illudere, inseguendo le crisi aziendali a una a una, anziché inquadrarle in una attività continua e proiettata al futuro, se si preferiscono i soldi che volano via al farne volàno di sviluppo, è perché la resa politica dell’aiuto è maggiore. E anche quella, del resto, è una rendita che genera miseria.
Di Davide Giacalone
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