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Pres. Anbi: “L’obbiettivo è usare le acque nere per irrigare”

Il governo ha instaurato una cabina di regia e un commissario straordinario per contrastare l’emergenza siccità. Abbiamo fatto il punto con il presidente Anbi Francesco Vincenzi
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Procede il lavoro del governo per contrastare l’allarme siccità che potrebbe pesare gravemente sulla nostra economia. L’esecutivo ha instaurato una cabina di regia per accelerare e coordinare la pianificazione degli interventi infrastrutturali di medio e lungo periodo e, nel breve periodo, un commissario nazionale straordinario fino al 31 dicembre 2023, con un incarico rinnovabile. Abbiamo intervistato Francesco Vincenzi, presidente dell’Anbi, associazione nazionale consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue per capire cosa aspettarci nel prossimo futuro e quali rischi corre l’Italia, terra sempre più siccitosa. A causa della siccità l’Italia rischia di perdere il 18% del PIL. Questo dato si ritrova nel Libro Bianco 2023 “Valore Acqua per l’Italia” per cui avete lavorato insieme, tra gli altri, ad Ambrosetti. Può spiegarci meglio questa valutazione? La siccità di quest’anno si avvicina a quella famigerata del 2003, con un’aggravante: non si registra solo l’assenza di precipitazioni acquose e nevose, ma anche l’aumento delle temperature da cui scaturisce una maggiore necessità di acqua irrigua per l’agricoltura. Il rischio per il 18% di PIL tiene conto di tutte le imprese che utilizzano l’acqua, quindi non solo il settore strettamente agroalimentare, ma anche l’agroindustria e tutto l’indotto delle trasformazioni dei prodotti agricoli. Come valuta lo strumento della desalinizzazione? Ogni investimento ha bisogno anche di una valutazione di impatto economico. Se noi dovessimo desalinizzare l’acqua, scopriremmo che l’acqua desalinizzata ha un impatto economico enorme perché è una tecnica molto costosa ed energivora rispetto al trattenere l’acqua a monte all’interno di vasi e laghi, rilasciarla e utilizzarla. Ci sono alcune aree del paese dove viene utilizzata la tecnica della desalinizzazione, per esempio le isole. In quei luoghi circondati dall’acqua potrebbe essere una soluzione, ma se utilizzassimo l’acqua desalinizzata per qualsiasi zona, ci sarebbero costi di trasporto e implementazione così alti da rendere il prezzo assolutamente fuori mercato. Che percorso fa l’acqua piovana prima di diventare acqua irrigua? In Italia utilizziamo principalmente due metodi per raccogliere l’acqua di irrigazione: il primo è utilizzare l’acqua che si preleva da un corpo idrico, dove viene immessa per sollevamento o per caduta; il secondo è avere un invaso, una diga o un grande lago che rilascia l’acqua all’interno di canali specifici. Da questi canali viene prelevata, pompata e distribuita in tutte le campagne. Per quanto riguarda la fase dell’irrigazione, oltre il 90% delle colture orticole e frutticole vengono irrigate ad alta precisione con l’irrigazione a goccia. Questa utilizza un impianto di controllo da remoto con un DSS, un software che raccoglie i dati del satellite, delle centraline e dei sensori del terreno, li mette tutti insieme e rende il consiglio irriguo di quanta acqua somministrare giorno per giorno. Questa tecnologia permette di usare il 70/80% di acqua in meno rispetto all’irrigazione tradizionale, ma ha un problema: l’irrigazione non può essere interrotta neanche un giorno, dal momento che si integra la quantità di acqua esatta che il suolo evapora in una specifica porzione di terreno. In pratica, si utilizzano pochissime gocce di acqua ogni giorno, senza creare mai una scorta. Ma, in un momento come questo in cui stiamo distribuendo l’acqua a turni, non è detto che ci sia acqua ogni giorno e, non avendo una scorta, questo potrebbe generare problemi ad alcune colture che non possono restare 7-10 giorni senz’acqua. Quindi la chiave per ridurre gli sprechi può essere la tecnologia? Sicuramente l’innovazione e la tecnologia giocano un ruolo determinante in una visione di sostenibilità ambientale. Nel nostro Paese si è iniziato a parlare di tecnologia 4.0 in particolare negli ultimi 5-6 anni. Oggi abbiamo bisogno ancora di più di questa innovazione, non solo all’interno delle aziende agricole, ma anche nella gestione dei nostri canali come mondo del consorzio di bonifica, per efficientare e orientare al meglio la risorsa in funzione delle reali esigenze. In pratica, registriamo in un software le richieste che abbiamo dall’agricoltore nel tal giorno e viene prelevata solo l’acqua necessaria per quella coltura. Ha fatto un po’ scalpore, anche se in realtà è risaputo, il fatto che il wc utilizzi acqua potabile e si è ragionato su quanto spreco comporti. Lei cosa ne pensa? Noi non ci occupiamo di distribuzione dell’acqua potabile, ma è chiaro che qui si apre un dibattito importante che io condivido. È un dibattito culturale che è stato messo tra i primi punti dell’azione di Governo all’interno della cabina di regia perché non è più accettabile che in Italia utilizziamo 150 litri di acqua in più al giorno per persona rispetto alla media europea. Dobbiamo iniziare a muoverci dal punto di vista culturale diminuendo i tempi che ci permettiamo sotto la doccia, l’acqua sprecata mentre laviamo i denti e in tante altre azioni quotidiane. Nelle case e nelle aziende del futuro si può immaginare di avere un percorso di recupero delle acque piovane che arrivano dai tetti che, se conservate, forse potrebbero essere utilizzate per diverse azioni quotidiane. Non posso darne certezza perché non so cosa l’utilizzo dell’acqua piovana comporti da un punto di visto sanitario, ma di certo la sfida è recuperare l’acqua depurando tutte le acque reflue che nei processi industriali, artigianali e civili oggi non vengono utilizzate. È ipotizzabile l’utilizzo delle acque nere, ovviamente trattate, a fini irrigui? La sfida è proprio questa, e ancora una volta la tecnologia gioca un ruolo determinante. Abbiamo dei depuratori che riescono ad affinare l’acqua quasi fino a renderla potabile. Utilizzare le acque nere ai fini irrigui è uno dei nostri obbiettivi principali e relativamente di breve periodo. Servono dei finanziamenti importanti per implementare e aumentare la presenza dei depuratori sul territorio nazionale. Tra quelli già esistenti, non sempre la posizione del depuratore è in luoghi dove l’agricoltura ha bisogno di quell’acqua e quindi banalmente la condotta che dovremmo costruire per portare l’acqua dove serve costa molto rispetto al beneficio. Altro aspetto importante è la qualità dell’acqua, perché non possiamo assolutamente mettere a rischio la qualità e la salubrità del cibo italiano riconosciuta in tutto il mondo. In definitiva bisogna usare essere intelligenti e non anticipare i tempi per il solo gusto di dire che si è fatto qualcosa. La strada è quella di investire su infrastrutture di affinamento dell’acqua, non quello di correggere le tabelle per far rientrare l’acqua nei parametri, su queste non accetteremmo nessun compromesso. Abbiamo già virtuosi esempi a Reggio Emilia e in Sardegna e man mano che andiamo avanti la tecnologia sta migliorando. Dunque, si può fare. Il governo ha instaurato la cabina di regia e commissario straordinario. Come valuta gli interventi presi? Il primo step che abbiamo tutti apprezzato è stato quello di agire con un’informazione corretta dal punto di vista culturale. Parimenti a quello, nel brevissimo periodo dobbiamo sopperire alla siccità con la tecnologia che migliori il quantitativo di acqua utilizzato attraverso il telecontrollo e i consigli irrigui. Altro punto fondamentale è l’ammodernamento delle reti idriche che hanno alcune problematiche. Come obbiettivo nel medio termine abbiamo l’utilizzo delle acque reflue depurate ai fini irrigui, poi abbiamo la sfida più importante a lungo termine: aumentare la capacità di invaso del nostro Paese. L’Italia è fermi all’11%, altri Paesi sono già arrivati al 35%-50%. Non dobbiamo dimenticare che l’85% dell’agroalimentare italiano dipende dall’acqua. Un ettaro irrigato produce 14 volte in più rispetto a uno non irrigato. Dove non c’è acqua la desertificazione dei suoli è molto accelerata, e questo è un tema da non sottovalutare, perché poi la situazione non si recupera con una due giorni di pioggia. Noi come consorzio di bonifica vogliamo offrire al Paese le nostre competenze, capacità progettuali e conoscitive del territorio per cercare di risolvere i problemi. Vogliamo che anche le nuove generazioni possano scegliere di rimanere nel nostro Paese, senza essere costretti ad andar via. Di Giovanni Palmisano

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