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Alla trap preferisco Beethoven, parla Peppe Barra

Il maestro Peppe Barra si sbottona: non ama la trap, né Geolier, né tantomeno l’immagine odierna della sua Napoli: “Non la cambio per nessuna città al mondo”

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I cambiamenti legati al passaggio generazionale fanno parte del normale divenire della musica. Ma quello che è cambiato – oltre allo stile e alla generazione – è il modo stesso di concepire il formato canzone. Oggi sono di moda la trap e il rap, specie napoletanizzati come quello di Geolier, che si è infiltrato prepotentemente nella cultura giovanile, non senza fare storcere il naso ai puristi, a quelli che alla tradizione non rinunciano.

Come il maestro Peppe Barra, a cui questa mutazione genetica generazionale non è piaciuta: «Non mi appassiona assolutamente, non mi piace la musica di Geolier, non ci sono tante ragioni per spiegarlo. Quando non ti piace qualcosa, non ti piace e basta» spiega. «Del resto appartengo a un’altra epoca, c’è una divisione generazionale a separarci. È in corso una mutazione molto spinta, i tempi si evolvono e si involvono, vanno avanti e indietro. I giovani hanno idee diverse dalle nostre. Sono fenomeni di cambiamento così strani che fai fatica a dare un giudizio obiettivo». Alla variazione dei suoi stati d’animo, il re della “Cantata dei Pastori” preferisce ascoltare la musica classica: «Adoro Mozart, Beethoven e ascolto la World Music».

Secondo Barra i testi di oggi recitati nelle canzoni, nei film e nelle fiction hanno falsato un po’ l’immagine realistica di Napoli, che «è antica, nobile, europea. Non sono d’accordo che se ne parli con superficialità, perché Napoli non ha bisogno di tutte queste fiction per rivelare quello che rappresenta, cioè una capitale della cultura». Lui che non l’ha mai abbandonata («Non come altri artisti che, una volta divenuti famosi, se ne sono andati ad abitare a Roma») può giudicarla: «Non la cambio con nessuna città al mondo. Ci sono sempre stato, le voglio bene perché è una città folle, antica, nobile ma anche cattiva».

Napoli è un caleidoscopio di identità culturali e storiche, è angeli e demoni che si danno la mano, è contaminazione tra sacro e profano: «Sono le inclinazioni di questa città che mi piacciono di più, convivo con questa simbiosi tra opposti e mi piace così come si mostra» riflette Barra. A lungo è stato uno dei simboli della città, una ‘maschera’: «Ogni attore ha bisogno di una maschera, è il teatro a inventarle, se non ci fossero non esisterebbe il teatro» ci spiega.

E pensare che da giovanissimo era ritenuto stonato, poi fu il musicologo napoletano Roberto De Simone a cogliere nel giovane Barra del talento puro. Un talento che è cresciuto all’ombra di personaggi iconici come Totò: «Sono stato molto affezionato all’attore e al suo personaggio, un gigante, alla sua arte surrealista e al suo modo di fare teatro. Sì, perché Totò era un grande attore di teatro prima di esserlo per il cinema. Ero molto giovane e non ho potuto avere rapporti stretti con lui. Mentre ho avuto più dimestichezza con Eduardo De Filippo: non ci ho lavorato ma era molto amico della Nuova Compagnia di Canto Popolare» ricorda. «Di personaggi così non ne nascono più. Bisognerebbe domandarlo al Padreterno: sono doni del cielo».

Come ha scritto in uno suo recente libro, «Se sei triste ma conservi la forza di varcare una soglia, a Napoli trovi sempre un luogo che ti strappa a te stesso, che ti trascina alla vita. Se ami Napoli, sai dove andare. E la città ti accoglie, ti sorregge e ti parla».

di Felice Massimo De Falco

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