Crisi delle banche, la stretta creditizia è già cominciata. Le alternative possibili
E’ il cosiddetto fenomeno del credit crunch. Ne abbiamo parlato con Christian Dominici, commercialista e consulente di molte banche: “Ma esistono delle alternative”
Dopo un’apertura tormentata, il mercato ha mostrato di credere nel salvataggio di Credit Suisse, avvenuto in extremis grazie all’intervento di UBS. Il fattore psicologico continua a pesare tantissimo, confermando ancora una volta come la parola “salvataggio” accostata alla parola “banca” desti molta paura tra gli investitori. Gli interventi tempestivi della FED e del Tesoro americano negli USA e del colosso svizzero UBS in Europa sono stati decisivi nel raffreddare gli spiriti. Del resto non è un mistero: se crollano le banche, cala la fiducia e con lei la crescita economica.
Gli addetti ai lavori stanno già toccando con mano i primi effetti di questa crisi che evidentemente non ha nulla di paragonabile con quanto avvenuto nel 2008 quando fallì Lehman Brothers. Eppure qualcosa in comune c’è: il fenomeno del credit crunch di cui si comincia a parlare, per ora, a sottovoce. Ne abbiamo discusso con Christian Dominici, commercialista e consulente di molte tra le più importanti banche retail e di secondo livello.
Dominici, cominciamo con una domanda provocatoria: dopo anni di lotte capitaliste, non è un po’ comodo chiedere aiuto allo Stato quando poi si è in difficoltà?
Verissimo ma una banca retail ha un grandissimo rapporto col territorio che non può essere ignorato. Salvare una banca oggi significa salvare tutte quelle piccole medie imprese che lavorano con quella banca. E’ impensabile riuscirci senza l’intervento statale poiché l’aiuto di un’altra banca potrebbe non essere sufficiente. Purtroppo serve un aiuto quasi illimitato perché ormai le nostre economie sono divenute così grandi che restano altre alternative.
Ci spiega che cosa sta succedendo esattamente? Che cos’è il credit crunch?
E’ il fenomeno della stretta creditizia. E’ preoccupante perché va a colpire soprattutto le piccole e medie imprese che hanno maggiori difficoltà di accesso al credito. La ragione va ricercata nell’innalzamento del costo del denaro. Quando il costo per la raccolta si alza troppo come successo in questi ultimi mesi in cui siamo passati da tassi zero a tassi molto più elevati, anche le banche non prestano denaro con la stessa facilità di prima. Il costo aumentato della raccolta per le banche è difficile da trasferire interamente sulla clientela; si rischierebbe di favorire il credito verso i peggiori clienti disposti a pagare tassi più alti, mentre i migliori clienti non richiederebbero ulteriori affidamenti.
Va detto però che il costo del denaro, in passato, ha toccato livelli ben più elevati. E’ la rapidità con cui vengono ritoccati i tassi a preoccupare?
Sicuramente sì ma va detto che il periodo era ben diverso. L’Italia degli anni 70 e 80, con i tassi molto più alti, era un’Italia che cresceva tanto perché spinta da una forte domanda e non dall’inflazione che faceva aumentare i prezzi dell’offerta. I nostri tassi d’interesse non sono alti come valore assoluto ma lo sono se si tiene conto della quantità di capitale che le nostre banche e le nostre imprese devono utilizzare.
Le garanzie del Mediocredito centrale scadranno il 31 dicembre 2023, preoccupato?
Durante il Covid lo Stato Italiano, per favorire l’accesso al credito, ha istituito due garanzie: il Mediocredito centrale e la garanzia SACE. Ciò significa che quando una piccola media impresa va a chiedere un mutuo in banca, quest’ultima si tutela grazie a questi strumenti. Ovvero su 100 mila euro di mutuo che chiede l’impresa, la banca – anziché calcolare sull’intera somma erogata l’accantonamento al patrimonio di vigilanza, lo calcola solo sulla parte non garantita di euro 20.000. Sembra una cifra molto piccola ma su larga scala ha un effetto molto importante per le banche. Ovviamente queste garanzie sono state strutturate con una formula a termine perché la Comunità europea non ha interesse che siano definitive poiché andrebbero a intralciare la concorrenza fra i paesi. L’ultima proroga è stata definita nell’ultima finanziaria, quindi o si allungano nuovamente i tempi delle garanzie o c’è il rischio che l’accesso al credito divenga ancora più difficoltoso.
In ogni caso esistono strumenti di finanziamento alternative, molto noti alle grandi imprese meno alle PMI. Il mese di marzo è particolarmente importante, perché?
Fino adesso tutte le PMI hanno ragionato in termini di espansione del debito visto che era facile e conveniente con gli affidamenti garantiti da SACE e dal Mediocredito centrale. Oggi però è altresì fondamentale ragionare anche in termini di cessione dei crediti tributari e quindi della cessione di credito IVA, operazione che si perfeziona proprio nel mese di marzo per tutte quelle imprese che presentano la dichiarazione IVA annuale. Le banche, naturalmente, acquistano molto volentieri questi crediti. Per due ragioni: sono crediti verso lo Stato e non obbligano ad accantonare somme al patrimonio di vigilanza.
Un’altra valida alternativa che servirà a contenere la stretta sul credito può essere rappresentata dal factoring, corretto?
Assolutamente. E’ uno strumento che devono imparare a usare anche le piccole medie imprese. Oggi sono diverse le banche specializzate nel proporlo. Consiste semplicemente nel farsi anticipare il pagamento delle fatture dei clienti dalle banche che guadagnano, a loro volta, uno spread d’interesse. L’azienda può così disporre di una liquidità immediata che altrimenti non avrebbe. Ovvio che il sistema funziona bene quando cedente e debitore ceduto sono due imprese con un buon rating. Quindi va sempre valutato chi cede cosa.
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