Fiorella Mannoia: «Sanremo coi big in gara? Ho aperto io quella porta… »
Fiorella Mannoia canta la forza delle donne: «Sanremo coi big in gara? Ho aperto io quella porta… E difende Elodie e Annalisa dagli hater
«Ho tanti anni quanti la Rai, per non dire quelli dei datteri (70anni ad aprile: ci sarà un evento per celebrarli ndr), ma a ritirarmi non ci penso proprio». A Fiorella Mannoia non manca la voglia di scherzare. A un passo dal suo sesto Sanremo e a sette dall’ultimo: nel 2017 Francesco Gabbani si inginocchiò ai suoi piedi, nella finalissima a due, come a chiedere scusa per aver vinto il Festival. Come a chiudere un cerchio, l’artista romana ha invitato proprio il cantautore toscano ad affiancarla sul palco nella serata delle cover.
La incontriamo per una piacevole chiacchierata, tra una prova e l’altra, l’aspetto e lo spirito da far invidia a una teenager: avrà fatto un patto col diavolo? La sua canzone, “Mariposa” (il titolo significa farfalla), nasce dalla penna sua e del marito, Carlo Di Francesco, poi ripensata insieme a Cheope (e Federica Abbate e Mattia Cerri). Immancabilmente emerge tra le altre, perché caratterizzata da un messaggio importante e un ritmo latino travolgente. Inaspettato per la rossa della canzone italiana, che pensando al FantaSanremo, ammette: «non ci capisco niente… ma quasi quasi mi metto a twerkare».
Si fa seria poi, spiegando l’origine del brano: «Stavamo guardando la serie “Il grido delle farfalle”, sulle sorelle Mirabal, trucidate nella Repubblica Dominicana nel 1960 sotto la dittatura del generale Trujillo. Quel delitto portò alle dimissioni del regime… a un certo punto ho visto Carlo che scriveva frasi su frasi che poi sono diventate lo spunto…». Il testo, che non parla però delle Mirabal (festeggiamo la giornata contro la violenza delle donne il 25 novembre in loro onore), è un inno alla femminilità senza filtri: «una canzone manifesto, sull’orgoglio dell’essere donna in tutte le sue sfaccettature e senza vittimismi».
Una specie di sequel di “Quello che le donne non dicono”? «Una rivisitazione 37 anni dopo», dice Fiorella, che nel testo racconta anche Una, nessuna, centomila (che cita in una strofa), l’associazione per le donne di cui è presidente onoraria, perché «non poteva mancare un riferimento ai concerti del 4 e 5 maggio, è un impegno che ormai fa parte della mia vita». I casi di femminicidi in Italia raccontano ancora di una mentalità sbagliata: «le dinamiche sono sempre le stesse – pensa la cantante – tante donne scambiano la gelosia per amore, ne sono quasi lusingate, senza capire quando diventa ossessione. Gli uomini, invece, non accettano la nostra emancipazione. La libertà è, in tutti i sensi, una conquista».
E difende le colleghe Elodie e Annalisa, che subiscono attacchi sessisti, accusate di mostrare di più le loro qualità fisiche che non quelle artistiche. «Negli anni Settanta c’era più libertà, ci siamo dimenticati di Madonna o di Beyoncé? All’improvviso siamo tutti bigotti. Fanno bene a fare quello che fanno, si mostrano come sono e come sentono di essere». Colpa dei social? «No, solo un nuovo mezzo. Prima queste cavolate si dicevano al bar». I testi della musica trap non aiutano di certo: «nessun invito alla censura perché non sarebbe giusto né educativo, ma come ha già fatto Roy Paci, a loro va rivolto un invito alla responsabilità e alla riflessione».
Con una carriera come la sua pensare a classifiche e visibilità è un’assurdità: «a Sanremo è pieno di giovani, non mi aspetto nulla, sarà un divertimento», prosegue Fiorella, che smentisce una “sexy Mannoia” sul palco dell’Ariston, ma non ci pensa due volte a dire che si è affidata a Luisa Spagnoli per osare senza tradire la sua personalità. E incalza, tornando all’ultima partecipazione: «ho aperto io quella porta, prima di “Che sia benedetta” nessun big voleva andarci. Anzi mi telefonavano e dicevano: “ma che sei matta, in gara?” E poi vedi com’è andata… ». A Fiorella Mannoia Sanremo deve qualcosa, più di qualcosa.
di Maria Francesca Troisi
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