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Alessandro Quarta e “I 5 Elementi”, quando il violino racconta ciò che siamo

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Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Alessandro Quarta sul suo disco “I 5 elementi” e sulla scelta di dargli una nuova veste sonora

Alessandro Quarta

Alessandro Quarta e “I 5 Elementi”, quando il violino racconta ciò che siamo

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Alessandro Quarta sul suo disco “I 5 elementi” e sulla scelta di dargli una nuova veste sonora

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Alessandro Quarta e “I 5 Elementi”, quando il violino racconta ciò che siamo

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Alessandro Quarta sul suo disco “I 5 elementi” e sulla scelta di dargli una nuova veste sonora

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Il violino di Alessandro Quarta torna a vibrare in una nuova luce con la rimasterizzazione de “I 5 Elementi”, ora disponibile in formato digitale, SACD (Super Audio CD) e in un doppio vinile limited edition da 180 grammi. Un lavoro che non è solo un disco, ma un viaggio emotivo e cinematografico, un attraversamento delle forze primordiali che governano la natura e, come racconta lo stesso artista, anche la nostra memoria più profonda.

Ci troviamo davanti a un’opera che parla senza parole: il violino, il pianoforte di Giuseppe Magagnino e il respiro dell’Orchestra de I Solisti Filarmonici Italiani costruiscono un racconto intimo e universale, dove ogni elemento – Terra, Acqua, Aria, Fuoco ed Etere – diventa un frammento della nostra vita.

Alessandro ci accoglie al telefono con la passione che da sempre lo contraddistingue: quella di un musicista che non suona soltanto, ma che scolpisce immagini, ricordi ed emozioni.

“I 5 Elementi” torna in una versione rimasterizzata e ricchissima dal punto di vista sonoro. Qual è stata la prima scintilla che ti ha spinto a riprendere in mano questo progetto?

La major ha un suo modus operandi: ti lancia nel mondo, ma poi ti gestisce in un modo che a me non piaceva. Così li chiamai e chiesi di rescindere il contratto. Non avevo nemmeno avuto il tempo di metabolizzare la decisione che incontro uno dei più importanti ingegneri del suono al mondo: Giulio Cesare Ricci. Lui 42 anni fa ha acquistato tutte le macchine valvolari usate dai Beatles per registrare i loro album più belli: microfoni, strumentazioni, di tutto. Gli mando la mia opera, lui se ne innamora e la prende in carico con la sua etichetta, la Fonè Records, con cui hanno lavorato i più grandi artisti classici, ma anche per cinque degli album più belli di Vasco Rossi.

Come è stato ricevere il master lavorato da Ricci?

Dopo 25 giorni mi ha mandato l’audio definitivo. Io sono rimasto 20 minuti a guardare il soffitto come un idiota, per la meraviglia. Il suono era di una bellezza inaudita: profondo, pieno, vivo. Ho capito perfettamente perché i più grandi al mondo scelgono lui. Sentivo finalmente il mio vero suono, arricchito dall’aria e dalla profondità che meritava.

Ed ecco piegata anche la scelta del super audio CD, oltre al vinile…

Sì. Quando Ricci mi chiese il master a 24 bit io rimasi perplesso, perché avevamo registrato a 32 bit. E invece mi ha spiegato che le migliori produzioni si fanno proprio così: le macchine valvolari dell’epoca lavoravano a quel livello e restituivano più dati reali. La bellezza è che il master HD può essere ascoltato anche in digitale – Spotify, Apple Music – con la qualità analogica lavorata con le macchine storiche dei Beatles. Qui la tecnologia digitale diventa davvero utile.

A proposito di tecnologia, hai detto di avere una certa diffidenza verso l’intelligenza artificiale.

Assolutamente. Io oggi la chiamo “deficienza artificiale”. Tanti ragazzi ne abusano, e questo mi spaventa. Per me, come diceva Montessori, le mani sono gli strumenti dell’intelligenza umana. L’arte richiede l’uomo, non la sostituzione dell’uomo. Nell’audio e nella musica, quando ci sono ancora le mani consapevoli dell’artista, puoi davvero sentire la differenza.

Viviamo in un’epoca di grande compressione sonora. Qual è il problema?

Che si cerca sempre più volume per ascoltare tutto dal cellulare. Ma l’arte non è il volume. Se vuoi ascoltare davvero la musica, devi farlo su vinile o con un master che non arriva a zero, ma a –2, –3 dB. È lì che trovi profondità, aria, verità. Il vinile verrà presentato a Roma il 28 febbraio e il 1° marzo: un doppio vinile, perché l’opera dura un’ora. Oggi tutti cambiano telefono ogni anno per avere uno schermo migliore… e poi guardano video compressi su Instagram a 720p. È un controsenso totale. La massa non è “deficiente” in senso offensivo: è “deficere”, mancanza, mancanza di attenzione e di educazione.

Ad esempio, Netflix non sarà mai come il cinema o la pellicola. Eppure la gente investe in televisori da 7.000 euro per vedere contenuti compressi… e poi non spende 1.000 euro per un giradischi che cambia la vita. Le aziende questo lo sanno e sfruttano la massa. Noi artisti che lavoriamo con la cultura siamo pochi. Io non ho un manager che paga tutto: ci metto i miei soldi. Ho voluto l’Auditorium Arvedi di Cremona, il violino Stradivari, il pianoforte Fazioli unico al mondo, i migliori musicisti italiani. E tutte queste cose costano. Non puoi poi rovinare tutto con una masterizzazione compressa.

Insomma, la remastered nasce da una scelta radicale di qualità.

Esatto. Ho usato il meglio del meglio. E Ricci ha decuplicato quella qualità. È andato a toccare quel suono “di carne”, alla John Lennon, caldo, vivido, anni ’60, ma con innovazioni contemporanee.

Parliamo del disco: com’è nato questo concept così complesso?

L’ho scritto tra settembre e ottobre 2023, in sette mesi. Un’ora di musica. Io viaggio molto per i concerti e scrivo ovunque: in hotel, sui mezzi, a casa, mai al pianoforte. Scrivo tutto in partitura.
Ho voluto raccontare la mia biografia, ma anche la tua e quella di tutti. L’opera si basa sulle due emozioni fondamentali: gioia e dolore.

Il disco è costruito intorno ai cinque elementi.

Terra parla dei nostri avi: abbiamo dentro di noi tratti, colori, caratteri che vengono da persone che non abbiamo mai conosciuto. Aria è ciò che non vediamo ma che esiste: come gli alberi che si muovono, i capelli, le foglie. È l’elemento più importante. Fuoco nasce dal tabù più grande: l’atto sessuale, l’ego primordiale dell’uomo. Ma è anche sangue, guerra, genocidio. È ciò che facciamo degli elementi: distruggerli. Poi c’è Etere, l’elemento che per i Greci dava vita agli altri. È stato dimenticato nei secoli, ma io l’ho riportato al centro con una Messa da Requiem. Lì c’è la richiesta di perdono dell’uomo e il perdono di Dio. Musicalmente c’è tutto: modulazioni, intervalli simbolici, un re maggiore finale che apre a un nuovo inizio.

E come inizia musicalmente l’opera?

Con la Creazione: cinque note, il numero perfetto, Fibonacci. La prima voce è la viola, perché anticamente tutto si chiamava “viola”: è il primo strumento. Da lì nasce il mondo sonoro. Tutti noi abbiamo un cassetto interiore dove nascondiamo ricordi troppo belli o troppo dolorosi. Questa opera ti apre quel cassetto, in modo quasi coatto, e ti fa rivivere ciò che sei, nel bene e nel male.

di Federico Arduini

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