Alisa Kovalenko: “Putin vuole l’amnistia per i russi violentatori”
Alisa Kovalenko, giornalista e documentarista, oggi arruolata nell’Esercito volontario ucraino, racconta la sua esperienza drammatica: rapita e violentata dai russi
Alisa Kovalenko: “Putin vuole l’amnistia per i russi violentatori”
Alisa Kovalenko, giornalista e documentarista, oggi arruolata nell’Esercito volontario ucraino, racconta la sua esperienza drammatica: rapita e violentata dai russi
Alisa Kovalenko: “Putin vuole l’amnistia per i russi violentatori”
Alisa Kovalenko, giornalista e documentarista, oggi arruolata nell’Esercito volontario ucraino, racconta la sua esperienza drammatica: rapita e violentata dai russi
Nata nel 1987 a Zaporizhzhia, Alisa Kovalenko è una giornalista di formazione che è poi diventata una documentarista pluripremiata, membro della European Film Academy e della Ukraine Film Academy. Ma dal 2022 si è anche arruolata nell’Esercito volontario ucraino. Molte sue opere sono appunto testimonianze di eventi della storia di quel Paese, dalla rivoluzione di Maidan alla battaglia dell’aeroporto di Donetsk.
Kovalenko ha raccontato anche di quando nel 2014 venne sequestrata da separatisti del Donbas e fu vittima di violenza sessuale: una prima volta nel 2015, col documentario “Alisa in Warland”; adesso in “Traces”, che racconta di sei donne sopravvissute a violenze sessuali e torture durante l’aggressione russa in Ucraina.
Un estratto di quest’ultima opera è stato proiettato al Senato in un convegno promosso dal senatore Filippo Sensi e dalla Federazione italiana diritti umani, in cui è intervenuta lei stessa oltre ad altri testimoni. «Il lungometraggio è ancora in fase di montaggio e questo frammento è soltanto una parte delle testimonianze raccolte» spiega. «Nel 2014 ero studentessa all’Accademia dei film documentari, quando andai appunto a documentare ciò che succedeva a Maidan e nel Donbas. Sono stata fatta prigioniera e interrogata da un russo che diceva di essere il capo dell’intelligence su quelle terre. Questo ufficiale russo mi ha violentato».
Una parte importante della narrazione putiniana è che nel Donbas non agirono agenti di Mosca, ma che quanto avvenne era parte di un processo tutto locale: «In quel periodo si diceva in effetti che non vi fossero ufficiali di carriera russi nel Donbas. Invece questo ufficiale c’era eccome, raccontava di essere andato in quei posti a trascorrere le sue vacanze». Proprio per il fatto di essersi recata lì per documentare quello che stava succedendo, un anno dopo Alisa Kovalenko diventò la prima donna a testimoniare di avere subìto violenza sessuale nel Donbas: «All’epoca c’era ancora questo muro di silenzio a tutti i livelli, per la paura di essere stigmatizzate».
Decisivo per l’idea di “Traces” è stato l’incontro con Irina Dovgan. Una donna che i separatisti di Donetsk avevano legato a un palo e fatto finta di fucilare, avevano preso a calci e fatto picchiare dalla folla. Si salvò perché una foto dei maltrattamenti era finita sul “New York Times”: «Ho riunito alcune donne perché condividessero le proprie storie. Già durante quel primo incontro furono tutte concordi nel decidere che il ricordo e la memoria dovessero persistere. Così abbiamo pensato che forse un film-documentario dedicato al tema avrebbe potuto rafforzare le nostre voci. Ma per me è stato terribile iniziare a ricordare».
Umanamente si voleva cercare di dimenticare: «Al momento dell’ultima invasione abbiamo però assistito di nuovo torture e violenze. A quel punto ho capito che bisognava documentare questi crimini sessuali. E abbiamo cominciato a lavorare con queste donne che dopo aver vissuto e sperimentato la violenza sessuale, le torture e il dolore sono state capaci di trasformare tutto questo in forza. Perché anche la loro testimonianza può diventare un’arma».
Una testimonianza ancora più importante, viste certe proposte di pace che stanno girando: «Uno dei 28 punti del famoso piano di pace prevede l’amnistia completa per questi crimini. Quando leggo di amnistia mi viene in mente la più anziana del nostro gruppo di donne: un’insegnante che viene da uno dei villaggi di Kherson. Un russo le ha spaccato tutti i denti, le ha rotto le ossa, le ha tagliato la pancia, l’ha violentata. Alla fine le ha rubato la bicicletta, lasciandole come ricordo una pallottola».
Di Maurizio Stefanini
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