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Donatella Di Pietrantonio: «Questa volta scrivo per i bambini»

L’autrice Donatella di Pietrantonio, vincitrice del Premio Strega 2024, torna in libreria con la sua raccolta di storie per bambini. Che affrontano, però, anche temi difficili

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Donatella Di Pietrantonio: «Questa volta scrivo per i bambini»

L’autrice Donatella di Pietrantonio, vincitrice del Premio Strega 2024, torna in libreria con la sua raccolta di storie per bambini. Che affrontano, però, anche temi difficili

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Donatella Di Pietrantonio: «Questa volta scrivo per i bambini»

L’autrice Donatella di Pietrantonio, vincitrice del Premio Strega 2024, torna in libreria con la sua raccolta di storie per bambini. Che affrontano, però, anche temi difficili

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L’autrice Donatella di Pietrantonio, vincitrice del Premio Strega 2024, torna in libreria con la sua raccolta di storie per bambini. Che affrontano, però, anche temi difficili

Da piccola era una bambina spaventata perché viveva «in un mondo contadino in cui gli adulti avevano sempre molto da fare e io ero sempre abbastanza sola». Nei ricordi di Donatella Di Pietrantonio l’infanzia è un bosco da attraversare a piedi per arrivare a scuola, fitto di paure da affrontare in fretta. Ma anche il momento della vita in cui scoprire che ci si può innamorare dei libri. «Pochissimi però arrivavano in casa mia, quindi ero una lettrice vorace di tutto ciò che mi capitava sottomano. Anche se non era adatto alla mia età. Ho letto per esempio “I Promessi Sposi” a nove anni: era l’unico libro a portata di mano in quel momento. E poi classici della letteratura per l’infanzia di allora, soprattutto rivolti alle bambine, quindi “Pippi Calzelunghe” e anche “Piccole donne”. Mi piacevano questi personaggi, soprattutto Pippi: così libera, così stravagante e autonoma…».

Donatella Di Pietrantonio, vincitrice del Premio Strega 2024 con “L’età fragile” e autrice di altri quattro romanzi tutti di grande successo, col mondo dell’infanzia ha a che fare da sempre. Sono giovani alcuni protagonisti dei suoi libri. Giovanissimi i pazienti che ha curato come dentista pediatrica, la professione che ha scelto. Nonostante l’inclinazione umanistica, perché più ‘comprensibile’ per la sua famiglia e che ha interrotto proprio in questo periodo. Ai suoi giovani pazienti, nel corso degli anni, ha raccontato storie nate in principio per suo figlio.

Tenute nel cassetto per anni e ora riviste e raccolte nel libro “Lucciole, squaletti e un po’ di pastina” (Salani), illustrato da Andrea Tarella. «Ho trovato che questo fosse il momento giusto per prendermi una pausa dalla letteratura per adulti e tornare a lavorare su storie che avevo scritto per mio figlio quando era bambino. Ecco, quando scrivo per gli adulti lo faccio con la gioia di scrivere, ma anche con molta tensione. Quando invece si scrive per bambini, almeno per quanto mi riguarda, si fa con il sorriso. E forse ne avevo bisogno in questo momento».

Nel libro, che segna il debutto di Di Pietrantonio nella letteratura per l’infanzia, si sogna e si ride. Si scopre l’origine delle lucciole e si segue il viaggio di una nuvola che rimane impigliata nel campanile di una chiesa. Storie leggere e profonde, scritte con le stesse parole precise di sempre.

«L’attenzione nella scelta dei vocaboli, per me, è una costante. E con i bambini sono stata ancora più attenta. Perché ritengo che tutti i contenuti possano essere adatti a loro, purché si scelga il tono giusto e il registro appropriato. Nel libro è presente un tono anche umoristico che normalmente non c’è nei miei romanzi, se non in minima parte. E quindi ho oscillato tra i registri del poetico e dell’umoristico nello scriverlo. E ho cercato nello stesso tempo la semplicità e la profondità, perché i bambini possono benissimo recepire temi molto impegnativi. In questo libro per esempio si parla anche di caducità, di spiritualità».

C’è anche la storia di un bambino che va incontro al suo destino di scrittore dopo aver mangiato una scatola di letterine di semola. Così come Di Pietrantonio, che ha iniziato a scrivere da piccolissima ma di nascosto: «Lo facevo con una sorta di senso di colpa, perché nel mio mondo d’origine scrivere – così come leggere – era considerato una perdita di tempo. Ci ho messo veramente tantissimo per potermi dare questa autorizzazione. E infatti ho cominciato a scrivere verso gli otto anni, ma ho cominciato a pubblicare soltanto a 49». Ha conservato tutto quello che ha scritto? «No, ho buttato via tantissimo, perché erano materiali che non superavano l’esame della mia seconda lettura. Mi è capitato di recente di ritrovare diari di scuola e quaderni di quando ero ragazza. E li ho trovati ancora adesso orribili».

Di Giacomo Chiuchiolo

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