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Eugenio Finardi racconta “Tutto”: “Il presente non merita canzoni”

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A cinquant’anni dal suo esordio, Eugenio Finardi ritorna con Tutto, il suo ventesimo (forse ultimo) album di inediti

Eugenio Finardi

Eugenio Finardi racconta “Tutto”: “Il presente non merita canzoni”

A cinquant’anni dal suo esordio, Eugenio Finardi ritorna con Tutto, il suo ventesimo (forse ultimo) album di inediti

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Eugenio Finardi racconta “Tutto”: “Il presente non merita canzoni”

A cinquant’anni dal suo esordio, Eugenio Finardi ritorna con Tutto, il suo ventesimo (forse ultimo) album di inediti

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A cinquant’anni dal suo esordio, Eugenio Finardi ritorna con Tutto, il suo ventesimo album di inediti. Composto da undici brani, l’album affronta con lucidità e sensibilità la complessità dei sentimenti, il futuro e le grandi domande dell’esistenza: “A 72 anni cominci a ragionare su quello che conta. Ci si rende conto di questa danza immensa di cui siamo un piccolo gesto. Il più grosso dono che abbiamo conquistato con l’evoluzione è la possibilità di capire quanto siamo una minuscola parte di un’immensità sorprendente. Mi interessa questo, non l’oggi: il nostro presente non merita canzoni. Mi vergogno di quello che stiamo lasciando ai nostri figli”.

Un disco che chiude un cerchio e che potrebbe essere l’ultimo, almeno per quanto riguarda gli inediti: “Ci ho messo undici anni a realizzare un nuovo album d’inediti e, di questo passo, il prossimo dovrei pubblicarlo a 83 anni. Lo vedo improbabile, anche se non mi dispiacerebbe dire: scusate, quando ho detto che era l’ultimo mi sono sbagliato” ci ha confidato Eugenio.

In un’epoca in cui tutto corre e la musica ancor di più, questo disco va contrasto per atmosfere e messaggi, ma anche per il modo in cui è stato prodotto: otto mesi di intenso lavoro insieme al produttore e musicista Giovanni “Giuvazza” Maggiore. E pensare che poteva non veder proprio la luce, ma galeotti furono i Beatles: “Dopo aver visto il documentario Get Back di Peter Jackson, io e Giovanni abbiamo deciso di seguire l’esempio dei Fab Four: basta scrivere canzoni solo quando capita. Da ora in poi ci vediamo ogni giorno, dalle 10 del mattino alle 7 di sera, per lavorare seriamente alla nostra musica. Con la stessa disciplina di Paul McCartney, che accoglie Lennon e Yoko — ancora stralunati dopo una notte insonne — indicando l’orologio e dicendo semplicemente: “Avevamo detto alle 11…”.

Tutto si presenta, quindi, come un’opera molto personale, coraggiosa, che unisce cantautorato e sperimentazione, suoni acustici, campionamenti originali e testi profondi, offrendo un Finardi che non ha paura di ricercare, di battere strade nuove. Alla faccia di chi molto più giovane è già uguale a sé stesso in ogni release. Tra i brani spicca indubbiamente “La battaglia”, uno sguardo tra diverse generazione che provano a capirsi, tra figli e genitori, che Eugenio ci racconta così: “Per la prima volta i figli devono insegnare ai genitori. Mi ricordo quando ero ragazzo, avevo l’età che oggi hanno i miei figli, e mio padre non aveva la minima idea di cosa pensassi. E io, a mia volta, avevo una visione molto semplificata, quasi stereotipata, di quello che pensava lui. Non mi interessava davvero la sua complessità umana. Eppure aveva vissuto esperienze incredibili: era nato nel 1909, era uno che aveva conosciuto Einstein. Ma a me, allora, non importava. Solo trent’anni dopo, crescendo, ho iniziato a fargli delle domande. È uno strano rapporto, quello tra le generazioni”.

Inevitabile toccare anche la sfera musicale dove, a volte, la differenza tra generazioni si fa ancora più marcata: “I miei figli conoscono un mondo che è diverso dal mio, ed è giusto così. È come quando mi parlano della musica di oggi: spesso mi dicono che non è fatta per essere capita da noi. Io, ad esempio, mi ricordo mia madre che mi piombava in camera mentre ascoltavo Mina – Mina che stava cambiando la storia del jazz – e lei diceva: “Questo è rumore!”. Quindi non mi aspetto che questo disco abbia particolare successo tra chi ha meno di 30 o 35 anni. La verità è che è cambiata proprio la semantica: le parole, i riferimenti, il modo stesso di sentire”.

Dal 16 maggio Finardi sarà in tour in diverse città d’Italia, con una data il 9 luglio a Milano a Castello Sforzesco, e racconterà cinquant’anni della propria carriera per quella che promette di non essere una celebrazione nostalgica. 

di Federico Arduini

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