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Fabrizio Paterlini riparte con “Layers”, tra loop, archi e improvvisazione: “Il mio Atom Heart Mother”

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Con 259 milioni di ascolti nell’ultimo anno, Fabrizio Paterlini, pianista e compositore affronta oggi una svolta netta nella sua carriera: un disco che lo allontana dal piano solo

Fabrizio Paterlini

Fabrizio Paterlini riparte con “Layers”, tra loop, archi e improvvisazione: “Il mio Atom Heart Mother”

Con 259 milioni di ascolti nell’ultimo anno, Fabrizio Paterlini, pianista e compositore affronta oggi una svolta netta nella sua carriera: un disco che lo allontana dal piano solo

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Fabrizio Paterlini riparte con “Layers”, tra loop, archi e improvvisazione: “Il mio Atom Heart Mother”

Con 259 milioni di ascolti nell’ultimo anno, Fabrizio Paterlini, pianista e compositore affronta oggi una svolta netta nella sua carriera: un disco che lo allontana dal piano solo

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Si pensa spesso che la musica, per macinare ascolti e raggiungere grandi platee, debba passare necessariamente dai tracciati più canonici, da contratti con major e affini. Sarà pur vero, ma esistono eccezioni virtuose e una di queste è senza dubbio Fabrizio Paterlini.  

Con 259 milioni di ascolti nell’ultimo anno, il pianista e compositore affronta oggi una svolta netta nella sua carriera: un disco che lo allontana dal piano solo, il territorio che l’ha reso uno dei nomi più riconoscibili della scena strumentale italiana e amato nel mondo. “Layers”, questo il nome del disco suonato a fianco di Marco Remondini (violoncello) e Stefano Zeni (violino), che lui stesso definisce come «il mio “Atom Heart Mother”», evocando il momento in cui anche i Pink Floyd decisero di scardinare la propria forma. Il nuovo progetto nasce da una necessità precisa: «Volevo staccarmi dal piano solo. Quel filone, ultimamente, lo trovo un po’ anonimo: produce tanti valzer, tanti brani simili». Da qui la decisione di lavorare su loop, sovrapposizioni, crescite progressive e soprattutto di aprire il processo ad altri musicisti, lasciando che le loro idee entrassero nei brani. «Io ho scritto ciò che so fare meglio: il pianoforte, anche elettronico. Poi ho lasciato a loro il resto». Il risultato è un lavoro che unisce mondi differenti, costruito come un dialogo continuo.

L’esperienza del trio, racconta Paterlini, ha avuto un impatto profondo sul suo modo di suonare: «Suonare in una band ti arricchisce. Quando torni al tuo strumento, lo fai con un’energia enorme». Non a caso, dopo la sperimentazione, è tornato allo studio del pianoforte «riprendendo persino Philip Glass, cosa che non facevo da tempo». La deviazione, però, comporta sempre un rischio rispetto al pubblico. Ma Fabrizio la vive con serenità: «I pezzi che preferisco sono quelli che il pubblico non conosce. E quelle che per me erano B-side sono diventate talvolta hit: “Soffia la notte”, 120 milioni di stream, era una B-side!». Essere indipendente sotto ogni punto di vista gli permette di seguire l’istinto: «Questo disco vive soprattutto dal vivo: dialogo, improvvisazione, libertà». Chi ama solamente il piano solo forse resterà spiazzato, ammette, «ma potrei abbracciare un pubblico più attento alla commistione acustico-digitale».

Il tema della libertà attraversa tutta la sua riflessione: «Me la sono conquistata. Posso deviare, sperimentare e poi tornare rinnovato a ciò che so fare meglio». Non è una condizione comune, in un sistema che richiede uscite continue e rapide: «I ritmi sono ingestibili. Si finisce per pubblicare gli scarti e la qualità si abbassa». Oggi, dice, i brani non hanno più tempo di sedimentare: «Anche i tuoi artisti preferiti pubblicano troppo. Io ascolto album, “Animals” dei Pink Floyd, cose così. Oggi fai fatica a legarti a qualcosa». Anche l’industria è cambiata: meno passione, più algoritmi, più numeri. Ma non tutto è negativo: «Uno come me negli anni ’80 o ’90 non avrebbe avuto spazio. Internet mi ha permesso di costruire tutto da indipendente».

Le major lo hanno cercato, racconta, «ed è stato bello», ma la scelta è stata quella della coerenza: «La mia libertà vale di più. E con tre figli non voglio tour infiniti o anticipi da ripagare». Per i giovani, tramite l’etichetta da lui fondata, il suo impegno è soprattutto formativo: «Molti non sanno cosa stanno firmando. E da lì nascono i drammi». Le playlist, dice, non sono più la via: «Gli algoritmi ti rendono invisibile». Il consiglio è tornare alla realtà: «Suonate nei locali, fate micro-eventi. Ventidue persone vere valgono più di ventiduemila ascolti passivi». In un mondo che spesso trita tutto, la sua convinzione resta semplice: «Se non restano canzoni che durano dieci anni, crolla tutto». 

di Federico Arduini

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