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Francesco De Carlo: “Il politicamente corretto è diventato una religione”

Uno dei grandi protagonisti del nostro panorama della Stand Up Comedy è Francesco De Carlo, il primo comico italiano ospite fisso al Comedy Cellar di New York

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Il genere della stand up comedy è ormai una realtà considerata anche in Italia, soprattutto tra le nuove generazioni. Uno dei grandi protagonisti del nostro panorama è Francesco De Carlo, il primo comico italiano ospite fisso al Comedy Cellar di New YorkSold out in tutta Italia, il suo ultimo spettacolo “Bocca mia taci” è un monologo sulla libertà d’espressione che, in tempi di accesi dibattiti sul politicamente corretto, prova a ridere di cose che non fanno ridere. Ma quanto è difficile fare lo stand up comedian al giorno d’oggi? «Io lavoro anche all’estero, dipende dal contesto. Cambia la sensibilità del pubblico: la stessa battuta la puoi fare in Italia e a Londra magari no, mentre in Iran ti tagliano la testa» ci racconta senza filtri. «Il politicamente corretto nasce con fini molto nobili, ossia aggiornare la comicità e renderla meno offensiva, ma con il tempo è diventato una specie di religione: ha portato moralismo e perbenismo, si fonda sul senso di colpa. Va a limitare la libertà d’espressione e contestualmente evita all’essere umano di prendere coscienza di essere una brutta persona».

Secondo De Carlo in Italia non c’è alcuna dittatura del politicamente corretto, ma anzi una linea conservatrice: «Non ci si rassegna che la comicità possa cambiare, siamo affezionati alle battute del passato. Nel mio spettacolo cerco di sfidare tutte le argomentazioni, perché la libertà di espressione è minacciata sia da sinistra che da destra: da una parte ci sono quelli ipersensibili per cui non puoi dire niente, dall’altra quelli che vorrebbero colpire tutti ma guai a utilizzare espressioni blasfeme che potrebbero offendere. L’Italia è un Paese molto simpatico da questo punto di vista». Il doppiopesismo è palese a prescindere dal colore politico: «Izzo e Paolantoni sono per esempio due comici che mi fanno molto ridere, fanno personaggi scorretti ed esagerano tanto certe dinamiche al punto che all’estero sarebbero considerati come Sacha Baron Cohen. Da noi vanno in prima serata e va tutto bene. Quando hanno iniziato ad avere problemi? Quando hanno fatto ironia sul presepe…».

Le differenze tra Italia e Usa sono tantissime, la principale riguarda i comedy club: «Negli Stati Uniti i comici possono salire su un palco tutte le sere. Ma non solo: in molti locali il pubblico non può nemmeno portare il telefonino, perché la libertà di espressione è sacra. Più i comici dicono cose che ti mettono in discussione, più fanno satira, più vengono rispettati. In Italia accade il contrario: bisogna rassicurare il pubblico, il comico deve essere molto ridicolo e molto buffo, quasi mai impegnato. Sei considerato impegnato solo se prendi in giro il politico di turno». In Italia funzionano ancora i tormentoni o gli stereotipi di genere: «Rincorriamo il passato, del resto abbiamo una tradizione comica unica al mondo. Però funziona come con la Storia. Pensiamo a Roma: ha un passato incredibile ed è più difficile fare le metropolitane. Negli Stati Uniti invece “the next thing”, cioè quello che si deve ancora fare, è la cosa più importante».

De Carlo teme la cancel culture? «Io spero che mi cancellino per quello che ho fatto e non per quello che ho detto, sarebbe difficile da accettare» è la sua replica tranchant. «Uno dei temi del mio spettacolo è se feriscano di più le parole o la realtà: sono convinto che dovremmo dedicarci di più a cambiare la realtà. Quando affermano che le parole fanno più male della spada, io rispondo: “Andatelo a dire ai gladiatori”. Penso che la cancel culture sia una sconfitta dell’essere umano: anziché scrivere il futuro, si concentra a riscrivere il passato. Invece di cambiare il mondo, pensa a ridisegnare ciò che è stato. La Chiesa fa così, le religioni fanno così: riscrivono il passato e creano delle narrazioni che ti fanno sentire meglio».

di Massimo Balsamo

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