Irama racconta “Antologia della vita e della morte”: “Continuo a cercare nuove strade”
Dopo un anno da protagonista arriva oggi il nuovo album in studio di Irama: “Antologia della vita e della morte”. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui

Irama racconta “Antologia della vita e della morte”: “Continuo a cercare nuove strade”
Dopo un anno da protagonista arriva oggi il nuovo album in studio di Irama: “Antologia della vita e della morte”. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui
Irama racconta “Antologia della vita e della morte”: “Continuo a cercare nuove strade”
Dopo un anno da protagonista arriva oggi il nuovo album in studio di Irama: “Antologia della vita e della morte”. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui
Fra le voci più riconoscibili e i nomi di spicco della scena italiana è impossibile non annoverare Irama, al secolo Filippo Maria Fanti. Dopo un anno da protagonista – tra Sanremo, un tour estivo di successo e un grande concerto all’Arena di Verona di cui vi abbiamo già raccontato – arriva oggi il nuovo album: “Antologia della vita e della morte”.

Il titolo racchiude già in sé molti indizi sulla natura del progetto, come spiega lo stesso Irama: «È un disco ricco di racconti di questo dualismo eterno che fa parte dell’uomo in mille culture. Si pensi alla biga alata, allo yin e allo yang, a qualsiasi forma simbolica che celebri e descriva la vita come l’equilibrio tra l’oscurità e la luce, tra il bene e il male». Ma il nuovo album nasce anche da un nume ispiratore: «Ho sempre avuto grande ammirazione per De André e in particolare per il suo lavoro ispirato all’Antologia di Spoon River (“Non al denaro, non all’amore né al cielo”, ndr.)». Vista la centralità del tema, è inevitabile chiedergli quale sia allora il suo rapporto con la morte: «Non sono pronto ad accettarla, forse nessuno lo è davvero. Con il tempo ho imparato ad avvicinarmi alla perdita, perché crescendo inevitabilmente si perdono persone care. Ma non la vivo bene: non riesco a metabolizzarla subito, mi serve tempo, a volte anche anni. Spesso soffro, racconto ciò che provo e poi, dopo molto, esplodo. È in quei momenti che scrivo: è la mia unica forma sincera per parlarne. Ho un processo emotivo strano, non immediato: sto ancora imparando a gestire i miei sentimenti».
Questo nuovo lavoro arriva a circa tre anni di distanza dall’ultimo album, un tempo ampio rispetto ai ritmi frenetici della discografia contemporanea. Ma è stata una scelta consapevole, come spiega l’artista: «È difficile scrivere quando sei in tour, perché non ti fermi mai. Ho 29 anni e da quando sono bambino vivo in questo processo, senza mai fermarmi. Dopo quasi dieci anni di tournée ti alieni un po’ perché ti priva della quotidianità. Ho cercato di ritrovarla viaggiando, scappando, vivendo. Questo mi ha dato benzina per scrivere e studiare. Oggi il mercato è velocissimo, ma per fare musica bisogna studiare. Mi sono preso del tempo perché ci tenevo che questo disco venisse fuori perfetto, anche se la perfezione è un’utopia».

Ascoltando il risultato, appare evidente quanto prendersi il proprio tempo nell’arte sia sempre la scelta giusta. Le 14 tracce del disco – impreziosite dai duetti con Lauro, Elodie e Giorgia – costruiscono un racconto coeso, fortemente orientato alle ballad, che alterna chitarra, pianoforte e sfumature rock al respiro dell’orchestra. Una scrittura matura, in cui il beat lascia spazio alla musica suonata per davvero e ogni elemento trova il suo equilibrio. «Il fil rouge è l’organicità: tanto pianoforte, archi ‘veri’ e non digitali. Più cresco e più mi allontano dal beat. Mi emoziona sentire il suono che arriva dagli strumenti reali e non campionati. La ricerca è in tutto: nei musicisti, nei generi, nei testi, nelle melodie. Continuo a studiare, a cercare nuove strade».
Fra i brani che compongono questa antologia di pensieri e sensazioni spicca “Circo”, una sorta di mito greco traghettato nella modernità: «È una storia d’ispirazione ellenica. Parla di una ballerina cacciata dagli dèi per invidia, che poi trova un amore mortale che le viene portato via da Venere. In superficie parla di invidia e gelosia, ma in fondo esplora l’utopia della perfezione. Spesso crediamo che quelle degli altri siano vite perfette, mentre invece sono piene di crepe». A chiudere il cerchio (e l’album) è “Il giorno”, dal suono luminoso e dalla forza catartica, quasi a voler lasciare una porta aperta su un nuovo inizio: «Ogni disco è sempre un’apertura verso qualcos’altro. C’è una teoria bellissima sull’universo come essere senziente, di cui noi siamo un ricordo latente. Gli album sono così: ricordi latenti dell’artista».
Il percorso artistico di Irama approderà per la prima volta sul palco di San Siro l’11 giugno 2026, per uno showche si preannuncia imponente: «La musica di questo disco è perfetta per il live. Voglio che sia uno spettacolo indimenticabile. Ne sto studiando ogni singolo aspetto, ma non voglio svelare troppo…».
di Federico Arduini
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