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Karma: «Il pubblico ci ha tenuti vivi per 27 anni». E rinasce il primo disco

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Oggi, a oltre trent’anni dalla sua uscita, Sony Music Italy ha finalmente riportato alla luce “Karma” con una riedizione in vinile. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con la band

Karma

Karma: «Il pubblico ci ha tenuti vivi per 27 anni». E rinasce il primo disco

Oggi, a oltre trent’anni dalla sua uscita, Sony Music Italy ha finalmente riportato alla luce “Karma” con una riedizione in vinile. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con la band

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Karma: «Il pubblico ci ha tenuti vivi per 27 anni». E rinasce il primo disco

Oggi, a oltre trent’anni dalla sua uscita, Sony Music Italy ha finalmente riportato alla luce “Karma” con una riedizione in vinile. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con la band

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Negli anni Novanta, mentre in Italia fermentavano i movimenti studenteschi e le università diventavano fucine di idee, a Milano nasceva un gruppo destinato a lasciare un’impronta profonda nella scena musicale alternativa: i Karma. Guidati da David Moretti e composti da un ensemble di musicisti straordinari – Andrea ‘Il Conte’ Bacchini alla chitarra, Andrea Viti al basso (poi con gli Afterhours), Diego Besozzi alla batteria e Alessandro ‘Pacho’ Rossi, percussionista tra i più creativi della scena italiana – i Karma rappresentarono il suono di un’epoca in cui tutto sembrava possibile. Il loro album d’esordio (“Karma”, pubblicato nel 1994) è diventato nel tempo un disco di culto: per anni fuori catalogo, introvabile, tramandato come un segreto tra chi c’era e chi lo ha scoperto dopo. Oggi, a oltre trent’anni dalla sua uscita, Sony Music Italy lo ha finalmente riportato alla luce con una riedizione in vinile (che contiene due tracce bonus), oltre che in cd e in digitale.

Abbiamo incontrato i Karma per un’intervista a cuore aperto, tra ricordi, emozioni, suoni industriali e dischi ritrovati. «È una rivincita. Quando uscimmo la prima volta il vinile era ‘morto’, ma per noi era essenziale perché siamo cresciuti con quello. Non avere i nostri dischi in vinile ci sembrava quasi un’ingiustizia. Oggi è anche un riappropriarsi di una dimensione più fisica e artigianale della musica, sebbene la musica buona cammini da sola, a prescindere dai formati» ci racconta Moretti.

Questa riedizione arriva dopo il ritorno sulle scene della band nel 2023 con “K3” (terzo album di inediti) e un tour nei club italiani: «Quando sei giovane dài tutto per la musica, ma a un certo punto questa band era diventata per noi come una nave fantasma. Pensavamo fosse finita lì. E invece, grazie al pubblico che ci ha tenuti vivi per 27 anni, ci siamo accorti che quella pausa era solo apparente. Quando siamo tornati e abbiamo visto la gente cantare le nostre canzoni, ci siamo detti: ok, è stata soltanto una lunga sosta, ma in fondo ci è anche servita per capire molte cose».

Riascoltare oggi il loro primo disco significa intraprendere un viaggio in un’epoca di pura sperimentazione sonora. Un viaggio che sorprendentemente suona ancora attuale, tanto nelle tematiche quanto nelle sonorità: «All’epoca era tutto molto empirico. Ogni rumore ce lo inventavamo. Se volevi un suono, dovevi crearlo: lavatrici, mattoni, ferri… era tutta una ricerca. Oggi i computer ti semplificano enormemente la vita» spiega Pacho. Quel suono, unico nel panorama italiano, è rimasto vivo nel passaparola di fan e curiosi attraversando i decenni. Una delle svolte decisive fu la scelta di cantare in italiano: «In questo modo la nostra generazione si identificò con noi. Non era solo estetica musicale, ma un legame più profondo. A posteriori, effettivamente quella nostra scelta ha fatto la differenza» sottolinea Moretti.

Tuttavia, anche le percussioni hanno avuto un ruolo chiave: «Venivo dal mondo della musica latina, fatto di congas, bonghi…» ricorda Pacho. «Quando sentii i Karma suonare per la prima volta, fu come ascoltare i Motörhead e i Black Sabbath in un colpo solo. Le mie congas sembravano inutili. Ricordo che Moretti mi chiese: “Conosci gli Einstürzende Neubauten?” e mi rimandò a casa con dieci loro cd da ‘studiare’. Da lì in poi cambiò tutto per me: fuori le congas, dentro bidoni, lavatrici, lamiere, molle… E quello è diventato il mio suono». Aggiunge Moretti: «Volevamo un suono che ci rendesse inconfondibili. Mischiavamo le sonorità di Seattle con la spiritualità orientale e le percussioni industriali. Il Jungle Sound Station era casa nostra. Provavamo di tutto, una volta arrivammo a smerigliare lamiere nella falegnameria attigua».

Oggi i Karma non sono soltanto una band ritrovata: sono la testimonianza viva di un’epoca irripetibile. E al tempo stesso la dimostrazione che certi suoni, se autentici, non invecchiano mai.

di Federico Arduini

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