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Morricone

I silenzi di mio padre, Ennio Morricone

A casa Morricone la musica era dappertutto ma allo stesso tempo non c’era. Aleggiava nelle stanze, riempiva i corridoi

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I silenzi di mio padre, Ennio Morricone

A casa Morricone la musica era dappertutto ma allo stesso tempo non c’era. Aleggiava nelle stanze, riempiva i corridoi

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I silenzi di mio padre, Ennio Morricone

A casa Morricone la musica era dappertutto ma allo stesso tempo non c’era. Aleggiava nelle stanze, riempiva i corridoi

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A casa Morricone la musica era dappertutto ma allo stesso tempo non c’era. Aleggiava nelle stanze, riempiva i corridoi

Pensi alla musica e invece sono i silenzi. Quelli prolungati, pieni di rumore. «È la cosa che mi manca di più di mio padre. Sembra una contraddizione in termini, ma era così. In quel modo si creava uno splendido confronto tra di noi». A casa Morricone la musica era dappertutto ma allo stesso tempo non c’era. Aleggiava nelle stanze, riempiva i corridoi, nasceva sui taccuini lasciati sul divano, in cucina, al pianoforte, in ogni posto buono dove vedere fiorire un’idea. Eppure mancava: «In casa nostra non potevamo ascoltarla. Mio padre non voleva essere condizionato in nessuna maniera nelle sue composizioni. Non potevamo accendere la radio, è vero, però potevamo fare tutto il chiasso che volevamo». Così a Marco Morricone – 67 anni, primogenito di Ennio – toccava interpretare i silenzi del papà: «Spero di esserci riuscito. La mia vita è stata una continua rincorsa perché negli anni dell’adolescenza era difficile capire un uomo così particolare. E da quando ho raggiunto la maturità è stata comunque una rincorsa per cercare di comprendere lui e certe sue dinamiche interiori» dice a “La Ragione”.

Di che padre sia stato Ennio Morricone, scomparso il 6 luglio di quattro anni fa, il figlio Marco parla nel libro a lui dedicato che ha scritto con il giornalista Valerio Cappelli: “Ennio Morricone. Il genio, l’uomo, il padre” (Sperling & Kupfer). «Ho deciso di scriverlo perché penso di aver conosciuto meglio di tutti l’uomo e i suoi valori, non il personaggio». E che padre è stato? «Presente. Perché nei primi anni della sua carriera ha lavorato molto a casa, a differenza di altri padri che magari devono andare in ufficio». I suoi capolavori nascevano fra le mura domestiche, appuntati su taccuini sparsi ovunque e poi trasformati in musica. Il suo processo creativo rimane tuttora un mistero: «Papà non era un grande oratore né uno che parlava facilmente. Ma penso che il suo segreto fosse il fatto di pensare direttamente in musica, abbinato agli studi che lo hanno accompagnato per tutta la vita e alla conoscenza del mestiere».

Tre le sue grandi passioni: la musica, gli scacchi e Roma (anche nel senso della squadra di calcio), che non ha abbandonato nemmeno quando il produttore Dino De Laurentiis gli offrì una bellissima villa a Los Angeles. Poi ci sono gli anagrammi, interesse meno noto coltivato con l’amico e collega Nicola Piovani: «Per un periodo mi ricordo che se li spedivano via fax. Piovani è stato uno dei pochi con cui mio padre ha avuto un rapporto di amicizia che andasse oltre l’ambito lavorativo. Al di fuori dell’Italia stimava molto il regista Terrence Malick, col quale per anni si sono scritti delle lettere, anche se mio padre non parlava inglese e Malick non conosceva l’italiano. Aveva un bellissimo rapporto anche con Quincy Jones, erano molto amici».

Con Sergio Leone il sodalizio più lungo, un’amicizia nata sui banchi di scuola e riscoperta in età adulta. Insieme hanno firmato alcuni dei più grandi capolavori della storia del cinema italiano, da “Per un pugno di dollari” a “C’era una volta in America”, di cui in questi giorni si è celebrato il 40esimo anniversario: «Inizialmente mio padre aveva scritto quelle musiche per un’altra pellicola, “Amore senza fine” di Franco Zeffirelli. Quando però scoprì che il regista voleva aggiungere una canzone scritta da Lionel Richie, si tirò indietro. Così le propose a Sergio Leone». Il rapporto tra i due? «A livello lavorativo era un processo tortuoso. Sicuramente hanno avuto delle divergenze di idee, ma sempre con atteggiamento costruttivo, di rispetto verso il film e di rispetto per la musica».

di Giacomo Chiuchiolo

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