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Non m’importa del woke, parla il comico Francesco Fanucchi

Caustico, onesto, dissacrante. Il comico lucchese Francesco Fanucchi torna in tour in giro per l’Italia con lo spettacolo “Molto pop”
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Infrangere tabù, non porsi paletti, diventare il nemico numero uno dei paladini della religione woke. Francesco Fanucchi è caustico, onesto, dissacrante. Dopo il grande successo del suo primo one man show “Standard”, il comico lucchese (che si autodefinisce diffidente come un ligure e irascibile come un toscano) sta girando l’Italia con lo spettacolo “Molto Pop”. «Il tour sta andando molto bene, sono molto contento perché è materiale completamente nuovo. È una bella soddisfazione» ci racconta fra una battuta e l’altra. Nei suoi monologhi Fanucchi racconta del suo vissuto e del mondo che lo circonda. E lo fa con spirito anticonformista e originale. Una cosa è certa, il politicamente corretto non fa parte delle sue priorità: «Non mi metto particolari limiti sulla forma, sul linguaggio e sui contenuti da portare sul palco. La mia soddisfazione è provocare delle risate, non mi pongo questioni morali quando racconto delle cose. Credo che i tempi impongano nuove sensibilità, ma – più che la parola in sé – conta l’utilizzo che ne fai». La disabilità trasformata in risata, ma anche altri temi delicati come la morte o la pedofilia, Fanucchi non ha mai preso in considerazione l’autocensura: «Non mi sono mai autocensurato. Non mi sono mai fatto la domanda “Mi conviene dire questa cosa o no?”. Anzi, quando un argomento mi imbarazza vuol dire che è quello giusto. Perché mi svela di più oppure tira fuori dei cortocircuiti sociali che sono interessanti da analizzare». Ma questo non implica fare un passo indietro: «Mi è capitato di correggere il tiro, di comprendere che una battuta non suscitava l’effetto desiderato. Oppure mi è capitato di non affrontare un argomento perché banalmente non ero pronto a parlarne, non mi sentivo abbastanza informato». Chi va a vedere un suo spettacolo è consapevole di cosa ‘rischia’. Per Fanucchi le contestazioni arrivano esclusivamente dalla Rete: «Sui social mi capita spesso, ma sono mezzi particolari ed è normale che accada. Un comico pubblica dei reel di uno spettacolo, che spesso vengono decontestualizzati e gettati nel mare magnum di Internet (e quindi dell’algoritmo) e l’indignazione è d’obbligo. Posso capirlo, magari c’è chi vede un video sulla situazione in Ucraina e poi se ne trova un altro in cui ci sono io che scherzo sui bambini…». Interessante è il suo giudizio sull’evoluzione della comicità in base alle piattaforme come Instagram e TikTok: «Spesso vedo contenuti comici che sono pensati per funzionare sui social prima ancora che dal vivo. Questo rischia di appiattire la nostra voce ossia la capacità di portare sul palco argomenti controversi o impopolari. Sulle piattaforme c’è una policy molto restrittiva a proposito delle parole che si possono dire o meno, quindi lavorare per funzionare soltanto sui social network è molto penalizzante. Il mio obiettivo è lavorare pensando al live, dando dei contenuti validi a prescindere dal tipo di media». Parole sante. Di Massimo Balsamo

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