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“Per me rischiare è tutto”, parla Saverio Costanzo

“Finalmente l’alba” di Saverio Costanzo, dedicato al padre Maurizio scomparso un anno fa, approda nelle sale: “Per me rischiare è tutto”, racconta a La Ragione
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Il viaggio lungo una notte di una giovane che, nella Cinecittà degli anni Cinquanta, diventa la protagonista di ore per lei memorabili che da ragazza la trasformeranno in donna. In concorso all’ultima Mostra di Venezia, il bellissimo “Finalmente l’alba” di Saverio Costanzo è arrivato nelle sale con 01 Distribution: un significativo investimento produttivo per portare sul grande schermo un affascinante atto d’amore verso l’epoca d’oro del cinema italiano. In realtà il progetto è cambiato in corso d’opera: «Inizialmente volevo scrivere un film sull’omicidio della giovanissima Wilma Montesi, avvenuto nell’aprile del 1953, che rappresentò per l’Italia il primo caso di assassinio mediatico: per la prima volta la gente cominciò a interessarsi morbosamente dello show intorno al crimine» ci racconta il regista. Una suggestione felliniana, evidenzia Costanzo, «dal punto di vista non cinematografico ma del Fellini analista e studioso della società italiana: lui sosteneva che per la prima volta l’opinione pubblica, alimentata dalla stampa scandalistica, aveva dato prova di pochissima empatia rispetto al dopoguerra, quando tutti erano più solidali. L’idea nasceva da quello, perché spesso lavorare sull’epoca ci aiuta a capire i passi avanti che abbiamo o non abbiamo fatto». Come spesso accade nei principali festival, “Finalmente l’alba” ha diviso la critica a Venezia, sintomo della grande ambizione dell’opera di Costanzo e della sua grande libertà. «Per me rischiare è tutto: quando si ha la possibilità di fare un film, si ha la responsabilità di cercare di portare qualcosa di nuovo. Bisogna scandagliare territori non esplorati, poi sarà il tempo a decidere se un film è buono o cattivo. Io seguo la mia ricerca e la mia idea di cinema e provo sempre a portare qualcosa di personale». Dedicato al padre Maurizio scomparso un anno fa, il lungometraggio è arrivato nelle sale più leggero di venti minuti rispetto alla versione ‘veneziana’. Una scelta da cinefilo, ammette Costanzo: «Perché io stesso faccio parte del pubblico. Complice il suo carattere funambolico, il film rischiava di finire nel burrone fra una svolta e l’altra. Nella versione precedente c’erano delle divagazioni che amavo molto ma che non accompagnavano la storia dei personaggi. Mi sono accorto che il film aveva bisogno di sciogliersi per riannodare la storia dei protagonisti e l’ho fatto in maniera molto naturale. I film si possono modificare fino all’ultimo minuto, penso anzi che a finirli sia lo spettatore: “Finalmente l’alba” pone tante domande e non dà delle risposte, lasciandole al pubblico». Il coraggio è la stella polare del percorso artistico di Costanzo, che vent’anni fa esordì dietro la macchina da presa con “Private”, la storia di una famiglia di Gaza costretta a convivere con i soldati israeliani che occupano la sua casa. Un film quasi profetico o forse no, considerando quanto sta accadendo in Medio Oriente: «Profetico fino a un certo punto… Ahimè non cambia niente, è un circolo vizioso. Siamo al centesimo giro di giostra. La situazione è la stessa del 2002. Quando abbiamo deciso di fare questo film l’unico obbligo che ci siamo dati è che gli attori, per raccontare per la prima volta una storia sull’occupazione dei territori, fossero israeliani e palestinesi. Una testimonianza del fatto che la stragrande maggioranza di Israele è dalla parte dei palestinesi e desidera due popoli e due Stati, esattamente come chi vive nella Striscia. Come diceva Lars von Trier, “ci vuole tantissimo bene per fare pochissimo bene e ci vuole pochissimo male per fare tantissimo male”. Quando ho girato quel film questo concetto mi era chiarissimo: è una minoranza di estremisti – da una parte e dall’altra – a non volere il cambiamento». di Massimo Balsamo

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