Stefano Esposito: «Basterebbe una sola norma: il magistrato che sbaglia, paga»
L’ex senatore Pd Esposito è stato per sette anni al centro di un processo poi rivelatosi infondato che, dice, gli ha distrutto la vita
Stefano Esposito: «Basterebbe una sola norma: il magistrato che sbaglia, paga»
L’ex senatore Pd Esposito è stato per sette anni al centro di un processo poi rivelatosi infondato che, dice, gli ha distrutto la vita
Stefano Esposito: «Basterebbe una sola norma: il magistrato che sbaglia, paga»
L’ex senatore Pd Esposito è stato per sette anni al centro di un processo poi rivelatosi infondato che, dice, gli ha distrutto la vita
L’ex senatore Pd Esposito è stato per sette anni al centro di un processo poi rivelatosi infondato che, dice, gli ha distrutto la vita
Ma guarda tu se uno deve considerarsi fortunato anche dopo essere stato preso a ceffoni sonori dalla patria giustizia, svillaneggiato sulla pubblica piazza da media felloni e infingardi, squadrato in tralice da concittadini pronti a brandire il forcone. «Sì, a conti fatti mi sento un uomo fortunato. Ho passato sette anni della mia vita sulla graticola giudiziaria per un’accusa infondata, eppure non mi devo lamentare. È il paradosso italiano: devi considerarti fortunato se ti imbatti in un pm che fa bene il suo lavoro oppure se non ti arrestano. Io rientro in questa seconda categoria».
Stefano Esposito è un piemontese di Moncalieri, ha 55 anni, una moglie e tre figli. È appena uscito da una storiaccia giudiziaria che avrebbe fiaccato un toro e generato indignazione collettiva in qualunque landa di questo mondo. È stato accusato di corruzione e turbativa d’asta in una di quelle inchieste dai nomi volutamente suggestivi (“Bigliettopoli”), sulla gestione di biglietti per eventi culturali e sportivi a Torino. C’erano di mezzo presunti accordi illeciti tra funzionari pubblici, esponenti politici e agenzie dello spettacolo, per ottenere vantaggi economici e favori nell’assegnazione di appalti o concessioni.
Nel 2017 Esposito era un senatore del Pd, eppure venne a sapere per caso di essere indagato: «Il 2 novembre mi telefona un assessore comunale. Mi chiede: “Chi hai nominato come tuo avvocato difensore?”. Cado dalle nuvole e lui mi spiega che siamo entrambi indagati nell’ambito di un’inchiesta. Nessuno mi aveva avvisato. Sebbene avessero già chiesto una proroga delle indagini, che va obbligatoriamente comunicata all’indagato. Le sembra una cosa normale? A me no».
Capirai, un senatore del Pd coinvolto in un brutto affare di corruzione: i media fiutano il sangue e ci si buttano a pesce. «È bastata la prima settimana per farmi il processo e condannarmi. Non avrei mai immaginato quale potere micidiale abbiano giornali e televisioni, siti e radio, sul destino di un individuo». A quel punto non puoi far altro che prepararti alla burrasca: «Ma non sai quando finirà. Speri presto, non penseresti mai di dover durare anni e anni in quelle condizioni».
Ne fanno le spese anche le famiglie: «Mia moglie l’ha vissuta molto male, anche perché ha dovuto pagare un prezzo alto nel proprio posto di lavoro. I miei figli sono diventati di punto in bianco “i figli di un corrotto”». Cambiano anche le piccole cose: «Un giorno mi arriva una telefonata dalla mia banca, il direttore mi spiega di dover chiudere il mio conto corrente. Mi si gela il sangue: come avrei pagato le bollette, come avrei fatto senza bancomat né carta di credito? Per fortuna ha capito la situazione». Diventano impossibili anche le operazioni più banali: «Avevo deciso di cambiare il mio smartphone decrepito, mi hanno rifiutato il finanziamento per comprarne uno nuovo».
Un giorno Esposito scopre che nel suo fascicolo ci sono circa 500 intercettazioni effettuate mentre era senatore. Precisazione: intercettare un parlamentare è vietato, senza un’esplicita autorizzazione del Parlamento: «Un fatto di una gravità inaudita, ovunque sarebbe successo il finimondo. Da noi no. E la colpa è di una politica ipocrita, codarda, populista e ormai priva di dignità». Obiezione: di quel mondo lei faceva parte. «Ho sempre avuto posizioni garantiste, ho difeso Filippo Penati che il mio partito aveva lasciato solo, ho fatto lo stesso con tanti altri». Però il Pd ha mollato anche lei: «Alla sola idea di tornare in politica mi viene il mal di stomaco».
Sette anni da indagato giustificherebbero un istinto di vendetta: «Il pm che mi ha rovinato un pezzo di vita non voglio neanche nominarlo, non lo ritengo degno della mia considerazione. Del suo operato si sta occupando il Csm, ma finirà col solito buffetto di rimprovero: una bella censura e passa tutto». Confidiamo nelle riforme: «Scherza? La separazione delle carriere serve a ben poco. Il fascicolo del magistrato è stato spuntato. Basterebbe una sola norma: il magistrato che sbaglia, paga».
Di Valentino Maimone
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