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La disinformazione indebolisce la democrazia

Guerra e disinformazione vanno da sempre di pari passo. La narrazione di un evento è spesso molto più veloce dell’evento stesso
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Guerra e disinformazione vanno da sempre di pari passo. La narrazione di un evento è spesso molto più veloce dell’evento stesso. Ma con il rinnovarsi del conflitto fra Israele e Hamas stiamo assistendo a qualcosa di inedito? «Tutte le guerre si caratterizzano come acceleratori di disinformazione» spiega Eugenio Iorio, professore di Social Media Analisys all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, dove è fra i coordinatori di Unisob Media Lab, un laboratorio permanente di ricerca per l’analisi delle dinamiche della mediasfera. «Oggi però le tecnologie e gli agenti di disinformazione sono sempre più evoluti. Chiunque è in grado di utilizzare le app di intelligenza artificiale, con effetti di manipolazione ancora più pervasivi e sistematici, tanto sulle immagini quanto sui testi».

Recentemente Shayan Sardarizadeh, esperto senior di “Bbc Verify”, ha denunciato in un’intervista rilasciata al Reuters Institute «il più alto volume di disinformazione mai raggiunto su X da quando è scoppiato il conflitto israelo-palestinese». «X – che pure ha subìto molti cambiamenti negli ultimi mesi – è stato in realtà il primo ambiente mediologico infestato dalla guerra delle informazioni» precisa Iorio. «Oggi probabilmente il diverso allineamento ideologico di Elon Musk, rispetto alle altre big tech americane, contribuisce a un maggiore clamore mediatico sulla piattaforma». Mancanza di educazione all’uso dei nuovi media e una sorta di rinuncia a comprenderne l’evoluzione non aiutano il contrasto alla disinformazione. «Il processo di disintermediazione consente a ciascuno di noi di costruire il proprio palinsesto informativo. Ogni piattaforma ha un suo sistema di disinformazione. Le big tech californiane (Meta e Google) funzionano con camere d’eco e polarizzazioni mentre TikTok – amato dalla Generazione Z – per realizzare quella forma di sharp power tardiva rispetto ai competitor deve mostrare più ‘colori’, quindi un flusso ininterrotto e senza filtro. TikTok è una piattaforma che serve alla Cina per ‘entrare’ nel cyberspazio degli Stati nazionali e costruire la disinformazione, secondo una visione diversa da quanto fanno Facebook e Instagram» osserva ancora Iorio.

Notizie manipolate, immagini alterate o decontestualizzate: prima della guerra in Medio Oriente, già con l’invasione russa in Ucraina si era generato un rumore così forte da rendere spesso difficile distinguere la verità dalla propaganda: «La disinformazione ci sta portando verso una democrazia molto debole. Quello che però deve preoccupare è il motivo per cui ci siamo arrivati. Quando parliamo di fake news abbiamo due attori: da un lato chi subisce e dall’altro l’opinione pubblica che, spesso in maniera inconscia, diventa a sua volta vettore di cattiva informazione a causa della nostra vera condanna: le bolle social che condizionano la percezione della realtà» conclude Iorio.

di Valentina Monarco

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