Lavoro, Dominici: “Avevamo strutture organizzative ferme agli anni ‘80”
Aziende che creano lavoro per 10mila dipendenti danno grande potere ma sono “pesanti”. Christian Dominici: “Banca Intesa esempio virtuoso”
Fin dall’avvento delle prime forme di tecnologia applicate al lavoro sono state diverse le reazioni, tra chi ne sottolineava i pregi e chi temeva si sarebbero persi innumerevoli posti di lavoro.
Negli ultimi anni i processi di cambiamento che di norma avvenivano nel corso di decenni, complice la pandemia, si sono concretizzati in una manciata di anni, rendendo il processo di adattamento di alcune aziende complicato. Tuttavia, secondo Christian Dominici, commercialista e consulente di molte tra le più importanti banche retail e di secondo livello, le nostre aziende stanno rispondendo bene: “Le aziende ormai si sono abituate a lavorare online, allo smart working, ma anche alle nuove forme di lavoro. Quando ho cominciato a fare il commercialista, una trentina di anni fa, lavoravo in un grosso studio di Milano in cui ancora c’erano i fax. Prima di inviarne uno, ci si metteva molto tempo perché tutti lo dovevano controllare e rivedere. Oggi in uno studio come il mio non si ricevono meno di 300 mail al giorno, a cui si risponde sempre. C’è stata un’accelerazione assolutamente incredibile”.
Se dal lato pratico quindi le aziende hanno saputo farsi trovare pronte ai cambiamenti tecnologici, non si può dire lo stesso della capacità di adattarsi strutturalmente ad un lavoro che non richiedeva più lo stesso numero di persone, lo stesso numero di ore. I grandi licenziamenti nell’ordine delle decine di migliaia di dipendenti delle grandi aziende Tech degli ultimi mesi ne sono solo un esempio, con la pandemia e la guerra che han fatto da catalizzatori a problemi preesistenti.
“Se da una parte le imprese sono state brave ad accogliere il digitale come forma di lavoro sia verso i dipendenti che i clienti, dall’altra – ha sottolineato Dominici – in qualche modo non ci siamo accorti che abbiamo continuato a disegnare le nostre strutture organizzative come negli anni ’80: strutture molto grandi, molto pesanti. L’anima dell’uomo è molto più lenta nell’adattarsi ai cambiamenti di quanto faccia il cervello. Nel suo animo – ha continuato Dominici – ogni grande manager aziendale ha un grande ego. Questo porta a costruire dei grattacieli, sedi imponenti. Porta anche a definire grandi strutture organizzative, perché più sei grande, più sei forte e più hai potere politico: avere 10.000 dipendenti dà un forte potere. Anche se queste strutture organizzative, purtroppo, sono difficili da mantenere”. E se investire nel mattone, nelle grandi sedi, porta innumerevoli benefici ad un’azienda, è indubbio che investire nel benessere dei propri dipendenti, nel ripensarne il welfare, ristrutturarne il lavoro in conseguenza alle nuove esigenze post pandemia, sia altrettanto importante, se non di più. “Da questo punto di vista – ha ammesso Dominici – le imprese stanno andando un po’ scomposte verso il problema. Era un qualcosa di molto sentito nel corso della pandemia, ora decisamente meno. È vero che il luogo di lavoro fisico facilita una serie di relazioni interpersonali, un’affinità di spirito di squadra, ma dobbiamo abituarci allo smart working di cui non si può fare a meno. Secondo me tra i progetti più belli in tal senso c’è indubbiamente quello di Banca Intesa: ridurre la settimana lavorativa a quattro giorni. Concilia la dimensione del lavoro con le esigenze di chi magari ha famiglia, figli, o anche solo la necessità di avere del tempo per sé”.
di Federico Arduini
La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!