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Padre Ibrahim Faltas: “Bisogna ritornare ad essere umani e rispettare la vita”

Intervista a Padre Ibrahim Faltas, francescano della Custodia di Terra Santa, figura di riferimento a Gerusalemme e nei territori palestinesi da oltre trent’anni

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In un Medio Oriente sempre più segnato dalla violenza, Padre Ibrahim Faltas, francescano della Custodia di Terra Santa, è una figura di riferimento a Gerusalemme e nei territori palestinesi da oltre trent’anni.
Ha vissuto in prima persona momenti drammatici della storia recente, dalle Intifada all’assedio della Basilica della Natività, e continua ancora oggi a farsi testimone del dolore di una terra fortemente provata.

Lo abbiamo intervistato e ci offre una riflessione profonda sulla crisi attuale, sul ruolo delle comunità religiose, sulla responsabilità della comunità internazionale e su “Sumud Flotilla”, la missione umanitaria diretta in queste ore a Gaza.

Cosa ci può raccontare della situazione attuale in Terra Santa?​

La situazione peggiora di giorno in giorno, quasi di ora in ora. Dopo l’attentato di Gerusalemme di lunedì 8 settembre e l’attacco a Doha del giorno dopo, la possibilità di arrivare ad un cessate il fuoco si allontana. Conosco bene i due popoli e conosco le loro sofferenze. In Terra Santa tutti soffrono: israeliani e palestinesi, cristiani, ebrei e musulmani.​​

Che ruolo possono avere le comunità religiose nella costruzione della pace? E cosa può fare la Chiesa, concretamente, oggi?

Sono un francescano della Custodia di Terra Santa, provincia religiosa fortemente voluta da San Francesco che nel 1219 venne in Terra Santa a portare la pace. La nostra presenza cristiana è sempre stata apprezzata e richiesta in questa terra martoriata. Gli appelli di Papa Francesco e di Papa Leone XIV sono rivolti a chi può fermare la violenza, ma non sono stati ascoltati perché non c’è la volontà di arrivare alla pace. ​​

Cosa pensa della posizione della comunità internazionale di fronte al conflitto israelo- palestinese? Ritiene che l’Europa e l’Italia stiano facendo abbastanza?​

La pace ha bisogno di cura e di attenzione costanti. La comunità internazionale non ha fatto abbastanza per evitare una escalation di violenza che ha portato a questa situazione drammatica. Non ci sono stati gli interventi opportuni per far rispettare accordi e leggi internazionali già approvati da anni. La mancanza di controllo ha fatto aumentare la spirale di odio e di vendetta. L’Europa e l’Italia possono chiedere ai responsabili degli organismi internazionali di intervenire con gli strumenti della giustizia e favorendo le soluzioni giuste per due popoli che soffrono da troppo tempo.​​

In questi giorni si parla molto della “Sumud Flotilla”, l’iniziativa internazionale partita per portare aiuti umanitari a Gaza via mare. Come legge questa iniziativa?

Ogni iniziativa di aiuto a chi soffre deve essere prima di tutto una iniziativa di pace. La società civile internazionale in questi ultimi due anni si è sentita sempre più impotente di fronte a quanto avveniva, e purtroppo ancora avviene, a Gaza. Chi è partito su quelle navi, affrontando disagi e pericoli, per raggiungere Gaza e per dare sollievo a quella povera umanità, ha sicuramente intenzione e volontà di pace.​​

Israele ha già dichiarato che impedirà l’arrivo della Sumud Flotilla a Gaza. Qual è la sua opinione su questa risposta?

Se fosse stata concessa la possibilità di fare entrare gli aiuti umanitari così vitali per Gaza, quelle stesse persone che ora sono in mare sarebbero state disponibili a farlo in modo organizzato e direttamente sul luogo. Il gesto di arrivare dal mare è simbolico e concreto nello stesso tempo. E spero veramente che possano raggiungere chi ha tanto bisogno senza difficoltà e in sicurezza. Non si può rimanere inermi di fronte alla sofferenza e al dolore di esseri umani innocenti e indifesi.​​

Se potesse lanciare un appello al mondo intero, oggi, quale sarebbe?​

Quello che succede a Gaza, come in altri scenari di guerra, è disumano. Chiedo alle coscienze di chi può fermare il fuoco, di tornare ad essere umano e di rispettare la vita, ogni vita, tutte le vite.

Di Catia Demonte

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