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Pupi Avati, maestro davanti alla vita

Ieri abbiamo avuto la straordinaria opportunità di ascoltare uno dei più grandi registi della storia del cinema: Pupi Avati.

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In occasione della tradizionale convention annuale di Orlean invest, ieri abbiamo avuto la straordinaria opportunità di ascoltare uno dei più grandi registi della storia del cinema: Pupi Avati.

Quando sai di dover dialogare con persone di questo livello, ti prepari ancor di più, studi, provi a immaginare come possa svilupparsi l’intervista e cosa possa arrivare al pubblico, interessarlo e coinvolgerlo. Speri di raggiungere un certo grado di empatia con l’ospite, facendolo sentire a proprio agio e soprattutto dandogli la sensazione di essere “a casa“.

Nel caso dell’incontro con Pupi Avati, si è andati magicamente oltre. Abbiamo ascoltato uno straordinario narratore e affabulatore, ci siamo lasciati cullare dall’onda dei suoi ricordi e di un mondo evocato da un tipo di uomo di cui sembriamo aver perso lo stampo. Sopra ogni altra cosa, ci siamo lasciati andare in un’altra dimensione.

Non starò qui a elencare tutti gli episodi da romanzo (o film, come più adeguato) di un’esistenza straordinaria. Ricorderò l’incrocio dell’aspirante jazzista Pupi Avati con un giovanissimo Lucio Dalla, che lo spinge a riconoscere l’abissale differenza fra passione e talento. Ed è grazie a quell’incrocio se Lucio Dalla cominciò a farsi notare nell’ambiente musicale bolognese e Pupi Avati comprese che il suo futuro non poteva essere nel suonare il clarinetto.

Non poteva essere neppure quello del suo sicuro e remunerativo lavoro di rappresentante della Findus (sembra incredibile, ma uno dei maestri del cinema italiano ha fatto anche questo in gioventù…). Ci doveva essere un’altra via per la propria vita, da qualche parte.

Sentir parlare Pupi Avati di quell’illuminazione, sentirgli raccontare l’Italia ricca solo di sogni e fortissimi aspirazioni del dopoguerra o la vita di quei ragazzi di un mondo che non c’è più ci ha incantati. Oltre il cinema, più del cinema.

Fino all’ultimo racconto che ci ha voluto regalare, che non è una narrazione ma una riflessione sul senso della vita. Sulla sua circolarità e sull’insegnamento più importante: l’anziano ritorna al sé bambino e lo fa dopo un lunghissimo percorso di vita. Solo per riscopre un dono: la fragilità.

La fragilità senza vergogna e senza paure – sottolinea Pupi Avati – la fragilità dell’essere umano, con le sue debolezze e i suoi desideri. Sapete, un buon attore è quasi sempre una donna o un uomo fragile, insicuro, quello che alla scuola di recitazione non vuole mai farsi vedere, non sgomita. Sembra mitetizzarsi con lo sfondo. Io cerco e ho sempre cercato quel tipo di persona, in grado di accettare la propria fragilità“.

Quanto a me – ha concluso – oggi che si avvicina inevitabilmente il commiato, mi sono ri-innamorato di mia moglie con cui sto insieme da sessant’anni. Sogno che alla fine del percorso tornerò nella mia casa di bambino a Bologna, salirò le scale, aprirò le porte, percorrerò quel corridoio, girerò a destra, entrerò in cucina e troverò mamma e papà“.

di Fulvio Giuliani

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