
40 anni di We Are The World
Storia di We Are The World, il brano che compie 40 anni interpretato dal gotha della musica statunitense che ha riscritto la storia del pop
| Cultura
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Storia di We Are The World, il brano che compie 40 anni interpretato dal gotha della musica statunitense che ha riscritto la storia del pop
Hollywood, 28 gennaio 1985. La cerimonia degli “American Music Awards”, i premi dell’industria discografica americana, si è appena conclusa. Quella stessa sera si sta per scrivere la storia della musica pop a poche miglia di distanza, per la precisione negli studi di registrazione A&M Studios.
Piccolo passo indietro. Nel dicembre del 1984 Bob Geldof – cantante e leader del gruppo irlandese Boomtown Rats – ha realizzato il progetto Band Aid, radunando i principali artisti pop britannici allo scopo di raccogliere fondi contro la carestia in Etiopia. Il brano (“Do They Know It’s Christmas?”) è un successo mondiale e non passa inosservato dall’altra parte dell’Oceano. Soprattutto ad Harry Belafonte, il leggendario ‘Re del calipso’ nonché fervente attivista per i diritti civili. Il cantante chiama il produttore Ken Kragen e gli propone di realizzare qualcosa di simile, anzi di più grande ancora: un brano che potesse unire il mondo sotto un messaggio di amore e solidarietà.
Kragen accetta e la macchina si mette in moto. Per scrivere la canzone Belafonte sente Lionel Richie – da poco solista dopo i successi come frontman dei Commodores – il quale accetta subito e inizia la ricerca di un coautore. Propone la cosa a Stevie Wonder, che però accetta di partecipare esclusivamente in veste di interprete. Intanto Kragen ha contattato Quincy Jones, il produttore di Michael Jackson, che non soltanto accetta ma lancia un’idea: affiancare a Richie l’autore di “Thriller” per la stesura del brano.
L’idea piace e in soli due giorni, rinchiusi nella villa di Jackson, i due artisti completano l’opera. La intitolano “We Are The World”, per far sì che l’ascoltatore possa immedesimarsi sin da subito con il messaggio della canzone. A quel punto inizia il reclutamento degli artisti: Springsteen dice subito sì, senza neppure aver capito bene di cosa si tratti. Stevie Wonder è già a bordo e da quel momento ben 45 fra i più grandi nomi della musica americana – da Tina Turner a Paul Simon, da Bob Dylan a Willie Nelson – accettano dando vita a una band da sogno: Usa for Africa. L’unico rifiuto arriva da Prince, che preferisce realizzare un suo brano (“America”) i cui proventi verranno devoluti per la causa, ma convince a partecipare la sua protetta Sheila E.
Nella notte fra il 28 e il 29 gennaio, il gotha della musica a stelle e strisce si raduna in studio. Quincy Jones affigge all’ingresso un cartello con l’invito a «lasciare fuori il proprio ego», per giungere a quella che sarà la più lunga ed entusiasmante alba della storia del pop. In studio succede di tutto: dall’imprevisto disagio di Bob Dylan, al crollo nervoso di Cindy Lauper, fino all’emozionante incontro fra Billy Joel e il suo mito Ray Charles. Quando le registrazioni terminano – alle 8 del mattino dopo – la veterana Diana Ross scoppia in un pianto liberatorio, consapevole di aver partecipato a un momento unico. Alle sessioni è presente anche Bob Geldof (invitato speciale) che proprio quella notte partorisce l’idea di un grande concerto benefico ai due lati dell’Atlantico: il Live Aid.
Il brano esce nel marzo del 1985 e vende 20 milioni di copie, raccogliendo oltre 100 milioni di dollari per combattere la carestia in Etiopia. Diviene un inno capace davvero di accomunare le persone ai quattro angoli del pianeta in un unico messaggio di solidarietà e pace, arrivando lì dove la politica non era mai giunta.
Questa straordinaria storia viene raccontata in un documentario in uscita dopodomani su Netflix e intitolato “The Greatest Night in Pop”, nel quale si narra il percorso fatto per compiere quest’impresa. Che è stata in fondo anche quella di chi ha creduto che la musica potesse cambiare il mondo. Un po’ come tutti noi.
di Stefano Faina e Silvio Napolitano
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Tag: musica, spettacoli
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