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Finocchiona

Algoritmo poco intelligente

Cazzomarro e passerina bannati dall’algoritmo californiano: la nuova frontiera del politically correct
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Cazzomarro e passerina bannati dall’algoritmo californiano: la nuova frontiera del politically correct
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Cazzomarro e passerina bannati dall’algoritmo californiano: la nuova frontiera del politically correct
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Cazzomarro e passerina bannati dall’algoritmo californiano: la nuova frontiera del politically correct
Una premessa è d’obbligo: chiunque condividerà su Facebook questo articolo potrebbe essere sospeso dalla piattaforma. Sì, perché utilizzeremo una lista di parole che secondo l’algoritmo californiano potrebbero ledere la dignità delle persone e istigare all’odio o alla violenza. È la nuova frontiera del politically correct affidato a una intelligenza (!) artificiale che non contestualizza frasi e ragionamenti ma esamina meccanicamente ogni singola sequenza di lettere. E se questa coincide con uno dei termini in lista nera, l’utente viene immediatamente sospeso per un tempo più o meno lungo. Ecco allora che nessuno chef potrà più parlare di determinate eccellenze gastronomiche (come il cazzomarro, il cazzimperio, i coglioni di mulo, le fregnacce, gli strozzapreti, il culatello, il bastardo del Grappa, la coscia di monaca et cetera) senza essere accusato di turpiloquio e nessun sommelier potrà più disquisire di vini dal nome equivocabile (Nero di Troia, Rosso Bastardo, Scopaio, Passerina, Uvagina, Ficaia, Bricco dell’Uccellone et cetera) senza essere tacciato di volgarità eccessiva e discriminazione sessuale. L’ultimo caso in ordine di tempo? Un’agenzia pubblicitaria di Bari che si è vista bloccare una campagna promozionale online della finocchiona, tipico salume toscano. Meta (la società che controlla Facebook, Instagram, WhatsApp e Messenger) ha ravvisato nella parola «il tentativo di insultare o prendere di mira gruppi specifici di categorie protette». A nulla è servito il ricorso immediato presentato: l’algoritmo non ha ritenuto sufficienti le prove portate a discolpa. Lo stesso atteggiamento che aveva peraltro già mostrato con un sacerdote genovese, sospeso perché trasmetteva su Facebook le dirette della messa in «violazione dei diritti d’autore della Fifa World Cup». Anche in questo caso il tentativo di spiegazione – ma soprattutto di comprensione, vista l’assurdità del motivo addotto – è caduto nel vuoto. Recentemente ha fatto poi discutere la disattivazione dei profili personali di un gruppo di ricercatori della New York University che stavano studiando il fenomeno della disinformazione applicato ai social network. Secondo le ‘vittime’, il provvedimento di censura nei loro confronti sarebbe stato preso perché avevano individuato falle nei sistemi di sicurezza della piattaforma. Nel frattempo parrebbe invece vacillare il divieto di pubblicazione di immagini di capezzoli femminili. Il consiglio di sorveglianza di Facebook (una sorta di gran giurì indipendente) ha condannato la censura di due post di una coppia americana transgender non binaria che si mostrava in topless, motivando il giudizio sulla necessità di oltrepassare «la visione binaria del genere e la distinzione tra corpi maschili e femminili». Ecco perché «le regole sul ban dei capezzoli risultano poco chiare quando si tratta di utenti intersessuali». Chissà se Zuckerberg vorrà prenderne atto.   di Stefano Caliciuri 

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