Anna Frank spiegata alle mie figlie
Il 4 agosto di 80 anni fa la Gestapo entrava nella casa nascondiglio della famiglia Frank. Di questa ragazzina si è detto e scritto tutto eppure sorprendono gli insegnamenti che si possono ancora trarre visitando la sua casa museo con lo sguardo innocente di un bambino. Soprattutto in tempi bui come questi
Anna Frank spiegata alle mie figlie
Il 4 agosto di 80 anni fa la Gestapo entrava nella casa nascondiglio della famiglia Frank. Di questa ragazzina si è detto e scritto tutto eppure sorprendono gli insegnamenti che si possono ancora trarre visitando la sua casa museo con lo sguardo innocente di un bambino. Soprattutto in tempi bui come questi
Anna Frank spiegata alle mie figlie
Il 4 agosto di 80 anni fa la Gestapo entrava nella casa nascondiglio della famiglia Frank. Di questa ragazzina si è detto e scritto tutto eppure sorprendono gli insegnamenti che si possono ancora trarre visitando la sua casa museo con lo sguardo innocente di un bambino. Soprattutto in tempi bui come questi
Il 4 agosto di 80 anni fa la Gestapo entrava nella casa nascondiglio della famiglia Frank. Di questa ragazzina si è detto e scritto tutto eppure sorprendono gli insegnamenti che si possono ancora trarre visitando la sua casa museo con lo sguardo innocente di un bambino. Soprattutto in tempi bui come questi
Atterriamo ad Amsterdam in una giornata dal clima primaverile che dopo giorni di calura estrema ci permette di tirare il fiato. Si conferma una città che non dorme mai, in questi giorni rigogliosamente addobbata per il gay pride. Negozi e hotel espongono la bandiera arcobaleno e anche l’amministrazione comunale ha decorato le vie del centro a tema. Si respira una piacevole aria di tolleranza e libertà, dove ognuno si fa i fatti propri.
Quelli che però – proprio qui ottant’anni fa (era un venerdì di agosto del 1944) – qualcuno non si fece, andando a denunciare il nascondiglio della famiglia Frank, permettendo così alla Gestapo di arrestare gli otto clandestini che da due anni vivevano nell’appartamento ai piani alti di 263 Prinsengracht, sopra la ditta di pectina e spezie che fino a poco prima era stata di proprietà di Otto Frank. Ci sono diverse versioni sul responsabile della soffiata che li condannò a morte: un notaio ebreo per salvarsi la pelle oppure la sorella di una delle donne che aiutò la famiglia a rimanere in vita procurando loro viveri e beni di prima necessità. La verità, probabilmente, non si saprà mai.
Quando uno dei dipendenti più fidati di Otto accompagnò la polizia davanti all’ormai celebre libreria girevole che segnava il confine tra la vita e la morte, si trovò davanti una terrorizzata Edith, madre di Anna e Margot. Conosceva quale sarebbe stata la loro sorte.
I tre giorni che passarono nel treno diretto al campo di concentramento furono gli ultimi tutti assieme: Otto ed Edith finirono ad Auschwitz mentre Anna e Margot a Bergen. L’unico a sopravvivere all’Olocausto fu proprio il padre. Oggi nel museo che sorge in quella che fu casa della famiglia Frank si può visionare ancora la lettera in cui chiede conferma della morte delle sue due figlie. Abituati alla velocità degli smartphone, possiamo solo immaginare l’angoscia e la sofferenza di quell’attesa straziante: Margot aveva 19 anni, Anna appena 15. Anche le mie due bimbe di 12 e quasi 8 anni hanno la stessa differenza di età ed erano con me durante la visita alla Casa.
Anna Frank – prima che ebrea – era poco più di una bambina che sognava di fare la giornalista e la scrittrice. Toccò al padre Otto realizzare il suo sogno, pubblicando quegli scritti che gli hanno permesso di conoscere una Anna inedita: «Dato che andavo molto d’accordo con lei, leggendo quelle pagine ho potuto dedurre una cosa: nessun genitore conosce i propri figli fino in fondo. Sono rimasto sorpreso dalla profondità dei suoi pensieri e dalla sua serietà. Mia figlia non mi ha mai mostrato questo tipo di sentimenti pur parlando noi di moltissime cose» racconta in un video proiettato all’interno del museo. Ed è un altro grande insegnamento che mi porto dietro da questo ‘viaggio’ tra i corridoi di questo edificio vuoto eppure così pieno.
Così ha voluto Otto Frank, quando nel 1957 venne inaugurata la Fondazione-museo. I nazisti infatti avevano fatto razzia di tutto. Originali dell’epoca restano il lavabo, il wc, la cucina, le fotografie e i ritagli di giornale con i vip dell’epoca che Anna aveva appeso alla sua cameretta-prigione. Personalmente il dettaglio più impressionante – da madre – è stato quello che richiama la quotidianità di qualsiasi famiglia, certamente anche della mia: i segni ancora ben visibili sulla parete che Otto ed Edith hanno marcato per registrare i progressi in altezza delle due ragazze. Durante i due anni nel nascondiglio, Anna crebbe di ben 12 centimetri, aspetto che fece diventare piccoli quei pochi vestiti a disposizione. È stato come ‘vederle’ – lì di fronte a me, a pochi passi – e sentirle ancora più vicine. Notare quanto piccola e angusta fosse la cameretta di Anna, condivisa da un certo punto in poi con uno sconosciuto dell’età del padre, ha impressionato molto mia figlia più grande che ha già letto il diario di Anna Frank. Probabilmente si è immedesimata, sapendo che la ragazza non andava nemmeno d’accordo con questo signore, amico del papà. Mia figlia più piccola, con l’innocenza dei suoi 7 anni, non è invece riuscita a capacitarsi di come qualcuno abbia potuto rivelare il nascondiglio dei Frank. Le ho spiegato che chi segnalava la presenza degli ebrei poteva ricevere una ricompensa economica e che in tempi di guerra anche pochi soldi possono fare la differenza. Ma non mi è sembrata soddisfatta della risposta. L’unica spiegazione che la convince davvero è che nessun adulto dovrebbe mai tradire la fiducia di un bambino. Non importa da dove venga, quanti anni abbia o quale sia la sua religione. A dimostrazione del fatto che i più piccoli hanno già inteso quello che molti adulti non hanno ancora capito né capiranno mai.
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