“Buffalo Soldier” di Bob Marley
| Cultura
Nel 1866 fu istituito il decimo reggimento di cavalleria dei “Buffalo Soldiers”. Nel 1983 Bob Marley pose l’accento sul caso mettendone in evidenza le contraddizioni

“Buffalo Soldier” di Bob Marley
Nel 1866 fu istituito il decimo reggimento di cavalleria dei “Buffalo Soldiers”. Nel 1983 Bob Marley pose l’accento sul caso mettendone in evidenza le contraddizioni
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“Buffalo Soldier” di Bob Marley
Nel 1866 fu istituito il decimo reggimento di cavalleria dei “Buffalo Soldiers”. Nel 1983 Bob Marley pose l’accento sul caso mettendone in evidenza le contraddizioni
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Nel settembre 1866, alcuni mesi dopo l’assassinio di Abraham Lincoln e la fine della guerra di secessione, fu istituito il decimo reggimento di cavalleria dell’esercito statunitense: quello dei cosiddetti Buffalo Soldiers (“Soldati bisonte”), composto esclusivamente da reclute afroamericane. Queste si scontrarono a più riprese con i nativi americani, che li avevano soprannominati così per via del loro valore in battaglia e anche per la chioma nera, irsuta, simile al manto del bisonte.
La summenzionata unità, alla quale si unirono il nono reggimento di cavalleria e il ventiquattresimo e il venticinquesimo di fanteria, era comandata da ufficiali bianchi e combatté per un quarto di secolo contro Cheyenne, Comanche, Kiowa, Apache, Ute, Sioux. Spesso funestati da pregiudizi razziali (era infatti un reparto militare “segregato”), i Buffalo Soldiers prestarono servizio in varie altre circostanze, arrivando persino a sfilare durante la Seconda guerra mondiale nella campagna d’Italia e poi nel conflitto in Corea.
Quasi quarant’anni fa, nel maggio 1983 uscì “Confrontation”, l’album postumo di Bob Marley – era morto due anni prima a Miami, a causa di un melanoma al piede destro – registrato con lo storico gruppo reggae-rocksteady The Wailers. La canzone di spicco del disco è “Buffalo Soldier”, scritta con King Sporty e dedicata proprio alla questione del decimo reggimento. Il cantautore giamaicano, senza troppi peli sulla lingua, mette in rilievo tutte le contraddizioni del caso: «rubato via dall’Africa, portato in America», il Buffalo Soldier passava dalla schiavitù a una presunta libertà che consisteva, in soldoni, nel salvaguardare da improvvise scorrerie i bianchi occupanti le terre dei nativi americani (anche se studi recenti hanno ridimensionato un po’ l’importanza dei Buffalo Soldiers nelle guerre indiane).
«Aveva lottato al suo arrivo, lottato per sopravvivere. / Diceva di essere un Soldato Bisonte, il Rasta coi dreadlocks. / Soldato Bisonte nel cuore dell’America…» (traduzione di Riccardo Venturi). Molto indicativo è il riferimento ai dreadlocks, le “trecce spaventose” dei Rastafariani che hanno radici antichissime. Marley identifica sé stesso, la sua religione (il rastafarianesimo appunto, un monoteismo di origine etiope legato al cristianesimo e alla regina di Saba del primo libro dei Re e del secondo libro delle Cronache) e gli odierni afroamericani negli intrepidi Buffalo Soldiers che divengono emblema di resistenza e coraggio, nonostante le difficoltà di integrazione. Alcuni di loro, come Pompey Factor, furono decorati con la Medal of Honor, segno di una calcolata “giustificazione” nel processo di dissoluzione dei nativi americani.
Musicalmente parlando, la parte più rilevante della canzone è il bridge onomatopeico, punteggiato dall’esplosione di gaudio della tromba: «Woe-yoe-yoe, woe-yoe-yoe-yoe». Un’interiezione davvero eloquente: è al contempo traccia viva della poetica di liberazione marleyana (vedi “Redemption Song”) e spia di una stupefatta sofferenza, di una perplessità esistenziale quasi incontenibile.
di Alberto Fraccacreta
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