Chi era Irma Brandeis
Nella settimana che porta al Giorno della Memoria, una storia a lungo rimasta ignota. L’ultimo viaggio di Brandeis non avvenne solo per salvare Montale
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Nella settimana che porta al Giorno della Memoria, una storia a lungo rimasta ignota. L’ultimo viaggio di Brandeis non avvenne solo per salvare Montale
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Chi era Irma Brandeis
Nella settimana che porta al Giorno della Memoria, una storia a lungo rimasta ignota. L’ultimo viaggio di Brandeis non avvenne solo per salvare Montale
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Nella settimana che porta al Giorno della Memoria, una storia a lungo rimasta ignota. L’ultimo viaggio di Brandeis non avvenne solo per salvare Montale
In un libro del 1930, “Pilgrims of ’48”, Josephine Clara Goldmark racconta la storia e le vicissitudini dei Goldmark-Brandeis, una famiglia di origine ebraica che aderì alle rivoluzioni del 1848 nell’impero austriaco e subito dopo riparò in America, anche a causa del crescente sentimento antisemita. Nel saggio si fa cenno al legame con l’eresiarca polacco Jakub Frank, autoproclamatosi messia sull’esempio di Sabbatai Zevi, in un misticismo tenebroso che fondeva elementi della cabbala e dell’ebraismo eterodosso con il cristianesimo (la figlia di Frank, Eva, fu da lui nominata “santa Shekinah”). Insomma, i Goldmark-Brandeis erano a tutti gli effetti ‘frankisti’.
Si dà il caso che “Pilgrims of ’48” fosse un testo molto amato da Irma Brandeis, nipote del membro della Corte suprema degli Stati Uniti d’America Louis Dembitz Brandeis, importante esponente del movimento sionista e consigliere di Woodrow Wilson e Franklin Delano Roosevelt. Irma era una giovane fanciulla dagli occhi chiari, studiosa di Dante, che passava le estati a Firenze. In una di queste (luglio 1933) andò a trovare il poeta degli “Ossi di seppia” al Gabinetto Vieusseux, di cui era all’epoca direttore. L’incontro fu fatale, un thunderbolt. Dall’amicizia e dalla relazione poi nata, distesa lungo il breve corso dei folgoranti soggiorni italiani di lei e fortemente osteggiata da diversi fattori (storici e personali), venne fuori il mito dell’«inconsapevole Cristofora»: il visiting angel di alcune liriche delle “Occasioni” (1939) e soprattutto della “Bufera e altro” (1956), l’ispiratrice par excellence della poesia montaliana: Clizia, Iride, la «messaggera accigliata». Ma in questa sostanziale ripresa della stilnovistica donna-splendore lo studioso Paolo De Caro ha visto qualcosa di più di un semplice – per quanto frastagliato – richiamo alla tradizione.
In “Ma se ritorni non sei tu e altri scritti montaliani” (Centro Grafico Foggia 2023) De Caro si chiede se l’ultimo viaggio della Brandeis in Europa, nel 1938, prima delle leggi razziali e della guerra incipiente, non sia dovuto soltanto al «desiderio di ‘salvare’ Montale, o se piuttosto dobbiamo correlarlo a un impegnativo compito assunto da Irma prima che partisse dagli Stati Uniti». Ma di quale compito si tratta esattamente? De Caro sembra avere pochi dubbi: considerate le tappe di Irma a Parigi e a Lussinpiccolo («un resort che passava anche come luogo di intelligence e d’intrighi internazionali») e il successivo ruolo all’Office of War Information (a partire dal 1942), considerati anche gli sforzi umanitari di Louis Brandeis per «mantenere aperta agli ebrei una via di fuga per la Palestina, e per promuovere e sostenere in Europa (con Parigi centro direzionale) le organizzazioni ebraiche newyorchesi di soccorso e di investigazione», è un’ipotesi assai fondata quella che vede la musa montaliana nel ruolo di intermediaria presso le associazioni di assistenza per gli ebrei in fuga. Un’Irma ‘politica’, insomma.
Ecco spiegati i versi di salvezza e di rigenerazione, di resistenza umanistica contro le barbarie. «Ma se ritorni non sei tu, è mutata / la tua storia terrena, non attendi / al traghetto la prua, / non hai sguardi, né ieri né domani; // perché l’opera Sua (che nella tua / si trasforma) dev’esser continuata».
Di Alberto Fraccacreta
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