La seconda edizione del concerto-spettacolo di Capodanno russo “Ciao 2021” andata in onda sull’emittente russa Primo Canale si è confermata un successo mediatico senza precedenti, totalizzando in poche ore su Youtube 500mila visualizzazioni. Una parodia, certo, ma che nasconde sotto una spessa patina di paillettes, capelli cotonati anni ‘80 ed ambientazioni kitsch, un retaggio storico-culturale che ha origini nel Comunismo, quando la “bella Italia” rappresentava per la popolazione dell’Est l’unica valvola di sfogo e di apertura verso il mondo tollerata dal regime.
“Ciao 2021” sembra infatti un programma fermo nel passato, quello della italo disco anni ‘70/’80 (sottogenere della disco music ancora amatissimo soprattutto all’estero), dei programmi caricaturali e teatrali stile Bagaglino e Drive In, condito dal giusto pizzico di trash che, ammettiamolo, non guasta mai.
Lo show condotto da Giovanni Urganti (versione italianizzata del popolare conduttore Ivan Urgant) condensa in circa 1 ora e 15 minuti tutti gli stereotipi possibili ed immaginabili dell’italiano medio, portando in scena sketch e brani dalle sonorità pop e disco Made in Italy (di altissima qualità, peraltro) inquadrando un pubblico (vinto o verosimile che sia) sempre in costante visibilio. Il pezzo di inizio show recita “Solo musica, solo ritmo e stile”; via alle danze!
L’edizione di quest’anno ha visto anche la partecipazione– tramite videomessaggi- di Toto Cutugno, dei Ricchi e Poveri, Al Bano e persino di Fedez, che hanno finto di essere artisti locali augurando buon anno. Gran finale: un fotomontaggio del presidente Vladimir Putin che, sullo sfondo dell’imponente Colosseo, augura a tutti i suoi concittadini un buon anno di prosperità.
Il tutto rigorosamente in italiano con sottotitoli in russo, tanto per sottolineare la dedizione e la cura di ogni dettaglio di un programma che prova a essere stupido ma che stupido non è.
La cultura pop italiana e l’Est Europa sanciscono la loro unione eterna già dagli anni ‘60, quando l’Italia è l’unica a sfuggire alle regole ferree della censura URSS.
La Guerra Fredda alza un’invisibile quanto netto muro di demarcazione tra il ribelle Occidente – rappresentato emblematicamente dagli USA- e l’austera Unione Sovietica. Se nel mondo i Beatles ed Elvis Presley vengono idolatrati, in Russia si osanna l’astronauta Jiurij Gagarin. Il primo mito italiano nasce da un autografo che la nostra Gina Lollobrigida chiede al cosmonauta, il quale glielo concede ottenendo in cambio uno scandalosissimo un bacio sulla guancia. È già storia.
Sarà però Robertino Loreti, cantante romano ricoperto di rubli ma pressoché ignorato in Italia (conosciuto in seguito solo per la canzone del 1964 portata al festival di Sanremo “Un bacio piccolissimo”) a diventare leggenda in Russia consacrando la nostra Penisola nel Paese dei balocchi: il vinile viene stampato in 10mila copie, l’Agenzia Spaziale Russa sceglie la musica di “Robertino” come colonna sonora delle sue missioni nello spazio.
Tutto il resto è un’escalation sonora e visiva Made in Italy che passa per concerti sold out di Albano e Romina (ma anche Toto Cutugno, i Ricchi e Poveri, Pupo) fino al 1984, quando il Cremlino trasmette per la prima volta le repliche del Festival di Sanremo in versione quasi integrale (taglierà Eros Ramazzotti, per quei jeans troppo strappati per essere trasmessi in prima TV). La lingua italiana comincia a essere masticata dai piccoli russi, ipnotizzati da quelle immagini di un mondo diverso di “sole, pizza e mandolino” soltanto da sognare.
Il lascito di questo melting pot culturale è ancora ben presente e “Ciao 2020/2021” ne è la testimonianza: questa volta però siamo anche noi italiani ad esserne rimasti affascinati, forse perché ci siamo riconosciuti in questo specchio un pò contorto, a tratti trash e grottesco, di certo fedele, di cui molti non hanno più memoria.
Una parodia e un elogio all’Italia di ieri- molto criticata da alcuni – possono lasciarci davvero l’amaro in bocca?
Niet!
di Raffaela Mercurio
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