Da cupa città dell’acciaio a città dell’arte
| Cultura
La storia di Esch-sur-Alzette in Lussemburgo è l’esempio virtuoso di una cittadina che prima era conosciuta solo per le sue fabbriche e che ora si gioca la carta di capitale europea. Il racconto di un piccolo miracolo.

Da cupa città dell’acciaio a città dell’arte
La storia di Esch-sur-Alzette in Lussemburgo è l’esempio virtuoso di una cittadina che prima era conosciuta solo per le sue fabbriche e che ora si gioca la carta di capitale europea. Il racconto di un piccolo miracolo.
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Da cupa città dell’acciaio a città dell’arte
La storia di Esch-sur-Alzette in Lussemburgo è l’esempio virtuoso di una cittadina che prima era conosciuta solo per le sue fabbriche e che ora si gioca la carta di capitale europea. Il racconto di un piccolo miracolo.
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Dal suono metallico delle acciaierie a quello melodioso delle performance musicali e teatrali. È questo il triplo salto che l’ex comunità industriale di Esch-sur-Alzette, in Lussemburgo, presenterà ai turisti che correranno a visitarla in questo 2022 (pandemia permettendo), anno in cui si giocherà la carta di capitale della cultura europea. Titolo che condividerà con la lituana Kunas e (per la prima volta) con una città di uno dei Paesi ancora fuori dall’Ue, ma impegnati nel lungo processo di adesione: Novi Sad in Serbia.
La storia di Esch è una delle tante legate ai processi di deindustrializzazione che hanno interessato l’economia europea a cavallo tra Novecento e anni Duemila, e il passaggio dall’acciaio alla cultura – oltre a essere lo slogan che accompagna questo anno speciale – costituisce la sfida giocata e a volte vinta da altre realtà segnate dall’industria pesante: da Liverpool e Newcastle in Gran Bretagna alla regione della Ruhr in Germania.
Seconda città del Lussemburgo, Esch conta poco più di 35mila abitanti ma ha rappresentato nei due secoli precedenti il polo dell’industria pesante del Granducato. La sua regione è una tipica area transfrontaliera, comprende altre dieci più piccole realtà comunali in Lussemburgo e otto nella confinante Francia, nel distretto di Audun-le-Tiche.
L’estrazione del carbone e l’affermazione dell’industria pesante dalla fine dell’Ottocento hanno creato una grande ricchezza, al costo di enormi ricadute ambientali. Grandi fabbriche, acciaierie, cementifici, complessi chimici sono sorti attorno alle miniere di carbone: il lavoro ha attirato migliaia di lavoratori, prima dal Sud del Lussemburgo e della francese Lotaringia, poi dal resto del continente, creando una comunità internazionale piuttosto insolita in questo spicchio di Europa occidentale. Un’eredità che oggi è alla base del cambiamento strutturale dell’economia e della società di Esch.
La sfida dei tempi nuovi, che la rassegna legata alle celebrazioni di capitale della cultura europea testimonia, è iniziata già da tempo. Almeno dal 2003, quando tra le vecchie fabbriche ormai domate si è insediata l’unica università del Lussemburgo, fondata non nella capitale ma qui, in questo museo di archeologia industriale. Con tre facoltà (Scienza, tecnologia e medicina; Diritto, economia e finanza; Scienze sociali e dell’educazione) e lezioni in tre lingue (inglese, francese e tedesco), l’Università di Esch raccoglie 7mila studenti, 950 dottorandi, 283 professori e quasi 4mila addetti. Una comunità multiculturale che forma il primo tassello della transizione dall’era industriale a quella della conoscenza e della cultura. Nel frattempo la città ha invertito la tendenza allo spopolamento, passando dai 29mila abitanti del 2008 ai quasi 36mila di oggi.
L’obiettivo è trasformarsi in un punto di riferimento dell’arte contemporanea, segmento in cui Esch già eccelle per la Konschthal, una galleria installata in un ex negozio di mobili. Il programma delle celebrazioni, che inizieranno a fine febbraio, punta tutto sulla dimensione artistica: teatro, festival, mostre, danza, performance visive, laboratori e arte digitale, con diversi focus che coinvolgeranno le comunità della regione transfrontaliera.
di Pierluigi Mennitti
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