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Fiabe, che non servano è solo una favola

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In quest’epoca nichilista, in cui scarsa è la ragione e quasi azzerata la fantasia, in molti si chiederanno «A cosa servono le favole e le fiabe?»

Fiabe

Fiabe, che non servano è solo una favola

In quest’epoca nichilista, in cui scarsa è la ragione e quasi azzerata la fantasia, in molti si chiederanno «A cosa servono le favole e le fiabe?»

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Fiabe, che non servano è solo una favola

In quest’epoca nichilista, in cui scarsa è la ragione e quasi azzerata la fantasia, in molti si chiederanno «A cosa servono le favole e le fiabe?»

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La ninna nanna per i bambini di 30 anni fa era il suono di una favola. Da una recente ricerca inglese si apprende che soltanto il 16% dei bambini di oggi, in età compresa fra i 2 e gli 8 anni, si addormenta ascoltandone una. Ne consegue che le prossime generazioni avranno un’infanzia senza favole. In quest’epoca nichilista, in cui scarsa è la ragione e quasi azzerata la fantasia, in molti si chiederanno «A cosa servono le favole?». La risposta arriva da voci autorevoli della psicanalisi: «Quei momenti spesi ad ascoltare le favole, oltre a fungere da straordinario sonnifero, impartiscono lezioni di morale esistenziale perché insegnano che anche i draghi possono essere sconfitti».

Bruno Bettelheim, filosofo viennese superstite dell’Olocausto, sosteneva che «il bambino ha bisogno di soddisfazioni a livello fantastico», una sorta di superamento dell’infanzia veicolata dalla fantasia. E secondo Maria Montessori «per educare il potenziale umano e far risvegliare i semi della scienza, non occorre altro che la fantasia». L’infanzia senza favole porta, una volta adulti, all’assenza del sogno. E quando mancano i sogni si rischia l’appiattimento sui luoghi comuni, si spegne quella fiamma di energia positiva utile ad affrontare il futuro. Il potere educativo delle favole prepara a discernere, attraverso i simbolismi e le allegorie delle storie narrate, il bene dal male nelle azioni personali e nelle relazioni umane: un contributo importante allo sviluppo dell’identità e alla proiezione di sé stessi verso il futuro.

Una favola aiuta inoltre lo sviluppo del linguaggio, l’elaborazione del pensiero critico e la creatività, stimolando i processi mentali dell’immaginazione. Favole e fiabe sono un veicolo potente per la comunicazione emotiva, rafforzano l’empatia e il legame affettivo tra narratore e bambino. Esiste una differenza in apparenza solo formale tra favola e fiaba: la prima è un racconto che si sviluppa su canoni realistici (ad esempio con la presenza di animali umanizzati) e contiene una morale che insegna un comportamento e condanna un vizio; la seconda invece sottintende la morale, non centrale ai fini della narrazione che è invece caratterizzata da elementi fantastici e magici come fate, folletti e orchi. Le favole più antiche sono quelle di Fedro e di Esopo: di quest’ultimo la più famosa è “La volpe e l’uva”, dedicata a chi usa minimizzare le proprie incapacità e si abbandona agli eventi, convinto che migliorare sé stessi sia un inutile spreco di tempo. 

Per quanto concerne le fiabe, dai fratelli Grimm a Collodi, quella che rispecchia meglio questa modernità è il viaggio fantastico di “Pinocchio”: più che una fiaba, un romanzo di formazione che traccia un elemento sociale umano, il rapporto tra povertà e debolezze del burattino bambino monello e il potere incancrenito, in un mondo di adulti violento e ingiusto; mentre il Paese dei Balocchi potrebbe essere la metafora dei luoghi del consumismo e dell’edonismo, in cui bisogna avere sempre qualcosa da consumare, anche sacrificando i valori, come vessillo di libertà e conquista dell’apparire. E come commentare la Fata Turchina? Tutti vorrebbero avere accanto l’azzurro della donna-madre che regala equilibrio: ascolta e non giudica. Di lei rimane questa frase, che suona come monito e auspicio universale: «Dare allegria è la cosa più bella che si possa fare al mondo».

di Elvira Morena

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