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Gli ultimi Notturni di De André

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“Notturni” è l’opera incompiuta di Fabrizio De Andrè ideata da Oliviero Malaspina
Gli ultimi Notturni di De André

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“Notturni” è l’opera incompiuta di Fabrizio De Andrè ideata da Oliviero Malaspina
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Gli ultimi Notturni di De André

“Notturni” è l’opera incompiuta di Fabrizio De Andrè ideata da Oliviero Malaspina
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La notte raggiunse Fabrizio De André come un’illuminazione. Un’idea, prima che il preludio della sua fine. Un’immagine, per lui sempre viva, da mettere in musica. Nel buio viveva e creava. Nel buio hanno preso vita i personaggi delle sue canzoni, gli ultimi, gli emarginati. E il buio è stata la sua ultima visione artistica e del mondo. Si chiama “Notturni” l’opera incompiuta di cui sono rimasti qualche verso reso noto e appunti secretati, ideata insieme a Oliviero Malaspina, cantautore, poeta e scrittore: «Per Fabrizio la notte era tutto e il contrario di tutto, il momento di redenzione per l’umanità, soprattutto quella marginale» racconta. «Di quel progetto sono stati finiti i testi. Le musiche, che poi avremmo supervisionato, erano quattro suite di circa 20 minuti l’una con orchestra sinfonica». È stato l’orrore per la notte di un amico sardo di De André a ispirarlo: «Eravamo partiti con l’idea molto oscura di un vaffanculo al Novecento. Poi col tempo ci siamo ammorbiditi e abbiamo ripreso come riferimento il “De rerum natura”. Abbiamo lasciato perdere Cioran e ci siamo concentrati di più sugli autori brasiliani e portoghesi, come De Andrade e Saramago, e sui “Dialoghi con Leucò” di Pavese». Racconta Malaspina, autore tra gli altri di “Drammaturgia degli invissuti” (diventato prima libro di testo alla Facoltà di Psicologia dell’Università di Torino e poi studiato nei licei), ora vicino alla pubblicazione del suo nuovo album, tra aprile e maggio, con l’etichetta “La stanza nascosta Records”. È stato uno dei pochi ad avere avuto accesso alle idee di De André negli ultimi mesi della sua vita: «Dopo il ricovero a pochi giorni dal concerto di Saint-Vincent, mi chiamò dicendomi che da quel momento in avanti avremmo dovuto essere più veloci. Lavoravamo tanto, ci vedevamo quasi ogni giorno. Si era creato un rapporto talmente forte, quasi di sangue, che non c’erano più barriere tra di noi». De André e Malaspina si sedevano al tavolino e passavano ore a scrivere i testi dei “Notturni”: «La stesura dei pezzi era un lavoro faticoso. Era più prosa lirica che scrittura tradizionale. D’altra parte, però, eravamo facilitati perché non avevamo uno schema metrico ben preciso. Lavoravamo a un linguaggio musicale complesso con nessuna rima baciata ma assonanze, allitterazioni, rime al mezzo, prosa poetica e linguaggi settoriali». Non era la paura della fine a trascinare De André verso il buio da cantare: «Fabrizio aveva una sorta di rapporto schizofrenico, in senso quasi positivo, con la sua malattia. Ogni tanto aveva dei picchi di depressione perché, ovviamente, era una persona intelligente e avvertiva il pericolo. Però era convintissimo di farcela e convinceva anche gli altri di questo». “Notturni” sarebbe stata l’ennesima rivoluzione di De André, sua e della musica italiana: «Era un modo completamente nuovo di approcciarsi alla canzone d’autore, per le forme linguistiche e quelle musicali e per i musicisti coinvolti nel progetto». L’opera non ha mai visto l’alba, rimasta sospesa alla morte di De André. Nel testo, però, ne resiste una, fatta «di rugiada e uova di vipera». di Giacomo Chiuchiolo  

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