
Era una splendida giornata, proprio come oggi in quasi tutta Italia.
Il 6 agosto 1945 neppure una nuvola oscurava il cielo di Hiroshima e in sostanza questa fu la condanna della città destinata a passare alla storia come il primo e penultimo obiettivo colpito da un ordigno atomico.
Hiroshima, il decollo dell'”Enola Gay”
Quando l’”Enola Gay”, il gigantesco B29 “Superfortezza volante” che trasportava “Little boy“, decollò dalla base aerea dell’Isola di Tinian nelle Marianne il comandante Paul Tibbets non conosceva ancora il suo obiettivo finale. Le ipotesi erano tre: Hiroshima, Kokura e Nagasaki, che sarebbe stata incenerita tre giorni dopo e la decisione da prendere in base alle condizioni atmosferiche. Il capriccio dei venti condannò Hiroshima.
Ovviamente non (solo) il meteo, ma l’ondata di follia che aveva coinvolto l’intera umanità negli anni più bui della storia della Terra. Non scriviamo a cuor leggero una frase del genere e ne siamo del tutto consapevoli. Non è questa la sede per tornare ad analizzare le motivazioni militari e politiche che spinsero gli Stati Uniti d’America e il presidente Harry Truman a decidere per l’utilizzo dell’arma atomica. Così come i giganteschi interrogativi morali.
Hiroshima, 80 anni dopo
Senza parteggiare, giustificare o condannare a distanza di ottant’anni, ci limitiamo a sottolineare che – al netto delle indiscutibili ricadute di carattere politico e geostrategico con un pensiero già al grande nemico del giorno dopo, l’Unione sovietica – la Casa Bianca optò per l’impiego dell’ordigno atomico anche sulla scorta delle devastanti esperienze delle battaglie di Okinawa e Ivo Jima, due isole costate la vita a decine di migliaia di soldati di entrambe le parti. Un’invasione di terra delle isole della madrepatria giapponese faceva prevedere su carta un bilancio in vite umane (americane, si intende) assolutamente spaventoso. Ripetiamo, in queste poche righe raccontiamo come si arrivò a sganciare la bomba sul famoso “ponte a T” di Hiroshima.
Cosa è rimasto?
In quel preciso istante cambiò la vita di tutti noi, chi c’era allora e chi sarebbe nato anche molto dopo. Tutti, indistintamente. Innumerevoli vite furono annientate all’istante e quelle furono le vittime più fortunate. Tante, un numero ancora oggi imprecisabile, morirono dopo o soffrirono per l’intera vita, fossero poche ore o interi decenni.
Ottant’anni dopo, parliamo di guerra ogni giorno, ma non la storia di quella guerra lontana, ma dei conflitti di oggi e siamo stati costretti a riscoprire persino l’incubo atomico.
In sostanza, come se non avessimo imparato nulla dai lunghi anni di terrore della guerra fredda. O fossimo diventati troppo sicuri di noi stessi.
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