I prigionieri del castello di Colditz
Il saggio di Ben Macintyre “Prigionieri del castello” (Neri Pozza) ci affida il ricordo della vita, fra il 1940 e il 1945, nella fortezza inespugnabile di Colditz in Sassonia
I prigionieri del castello di Colditz
Il saggio di Ben Macintyre “Prigionieri del castello” (Neri Pozza) ci affida il ricordo della vita, fra il 1940 e il 1945, nella fortezza inespugnabile di Colditz in Sassonia
I prigionieri del castello di Colditz
Il saggio di Ben Macintyre “Prigionieri del castello” (Neri Pozza) ci affida il ricordo della vita, fra il 1940 e il 1945, nella fortezza inespugnabile di Colditz in Sassonia
Il saggio di Ben Macintyre “Prigionieri del castello” (Neri Pozza) ci affida il ricordo della vita, fra il 1940 e il 1945, nella fortezza inespugnabile di Colditz in Sassonia
Meticoloso e avvincente, il saggio di Ben Macintyre “Prigionieri del castello” (Neri Pozza) ci affida il ricordo della vita, fra il 1940 e il 1945, nella fortezza inespugnabile di Colditz in Sassonia, trasformata dal Terzo Reich in un campo di massima sicurezza per soldati già fuggiti da altre prigioni. Un microcosmo in cattività che riserva diverse sorprese. Dimenticate episodi di tortura o un inutile accanimento sulla psiche del nemico: la sua gestione, affidata alla Wehrmacht, sarà sempre improntata al rispetto rigoroso delle regole stabilite dalla Convenzione di Ginevra. Merito anche del pignolo responsabile della sicurezza Reinhold Eggers – un insegnante pedante e astuto, di sentimenti antinazisti e ammiratore dell’Inghilterra – che non smetterà di considerare i reclusi al pari di studenti pericolosi e indisciplinati ma impossibili da odiare. Quanto a questi ultimi, sorprende il loro razzismo: gli ufficiali francesi esigeranno che i loro colleghi ebrei siano confinati nella soffitta del castello; quelli inglesi diffideranno sempre della lealtà dell’indiano Birendranath Mazumdar che – pur nutrendo sentimenti nazionalisti – non vorrà tradire l’impero britannico a cui ha giurato fedeltà (i tedeschi saranno costretti a trasferirlo cedendo a un suo prolungato sciopero della fame per protesta, guarda caso proprio mentre il governo inglese decideva di interrompere con l’alimentazione forzata un satyāgraha di 21 giorni del Mahatma Gandhi).
Non è tutto. La popolazione reclusa è strutturata in un rigido classismo: gli ufficiali non lavorano (a farlo sono i soldati di truppa) e vengono accuditi da attendenti incaricati di provvedere a ogni loro necessità. Amanti dei circoli privati, gli inglesi daranno vita anche a un esclusivo Bullingdon Club, riservato agli ex studenti di Oxford. Per i tedeschi il club più importante del castello sarà invece quello degli ‘Eminenti’, formato da prigionieri preziosi per le loro celebri parentele (ma spesso si tratta di clamorose omonimie) che tengono isolati e sotto stretta sorveglianza.
Gli irriducibili di Colditz organizzano con regolarità recite teatrali, discussioni letterarie e godono di un’ampia varietà di libri forniti dalla Croce rossa. Fanno di tutto per innervosire i tedeschi: si scambiano durante l’appello per costringerli a una nuova conta, vestono in maniera eccentrica, fissano i bottoni della patta dei calzoni di un ufficiale, non rispondono al saluto militare, liberano vespe a cui sono stati attaccati biglietti con sopra scritto «Deutschland Kaputt» oppure spingono per terra col naso oggetti immaginari. La loro specialità è però quella di organizzare incredibili piani di fuga realizzando tunnel (il più lungo, 44 metri scavati in 10 mesi, verrà battezzato “il Metrò”), costruendosi con materiali di fortuna repliche di divise tedesche e diversi attrezzi (perfino un aliante e due radio funzionanti), comunicando all’esterno via posta tramite un codice cifrato. Un capolavoro collettivo di fantasia e determinazione che varrà a Colditz l’appellativo di “università dell’escapismo”: le evasioni riuscite saranno 32 (12 francesi, 11 inglesi, 7 olandesi, un polacco e un belga), di cui però soltanto 15 dall’interno del castello. Quello del controllo e della fuga è peraltro un gioco molto serio, giocato da due squadre agguerrite che si rispettano e che mai verranno meno alla parola data, resistendo in tutti un cavalleresco senso dell’onore.
Con l’avanzare inesorabile degli Alleati in Germania la sorte dei reclusi si fa via via più incerta e pericolosa. L’afflusso di centinaia di nuovi prigionieri rende le condizioni igieniche personali e degli ambienti insopportabili. Iniziando a scarseggiare per tutti le razioni di cibo, guardie e prigionieri organizzano nel cortile del castellouna sorta di bazar dove praticare il baratto. Soprattutto i prigionieri temono che la guarnigione tedesca finisca sotto il comando delle SS. I loro piani puntano adesso a resistere a uno sgombero forzato, trovando l’appoggio del comandante Gerhard Prawitt e soprattutto di Reinhold Eggers. Il 14 aprile 1945 il controllo di Colditz passa così in maniera pacifica ai 1.400 detenuti. Dopo aver consegnato le chiavi dell’arsenale, i tedeschi con puntigliosa correttezza restituiscono gli effetti personali confiscati loro all’ingresso della fortezza. Da quel momento guardie e reclusi fingono che nulla sia successo, con i secondi che di fatto proteggono i loro carcerieri sia dalle SS sia dalle truppe americane in arrivo. La liberazione arriva pochi giorni dopo e l’arresto dei sedici ufficiali tedeschi certifica un definitivo ribaltamento dei ruoli, epifania del mondo che si sta apparecchiando. Come nel caso dello stesso Eggers, che nel 1946 i sovietici – ormai padroni di quella parte di Germania – condanneranno a 10 anni di lavori forzati in Siberia. Incatenato a detenuti comuni e a nazisti, affamato e picchiato, sarà fra i pochi a sopravvivere nel “Campo speciale Nkvd n. 1” (dove in soli cinque anni 12mila prigionieri moriranno per dissenteria e malnutrizione): un inferno concentrazionario assai diverso dal ‘suo’ castello di Colditz.
di Vittorio Pezzuto
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