Il carro che dondola verso la libertà
| Cultura
La storia di “Swing Low, Sweet Chariot”, uno degli spiritual più noti della tradizione americana, cantata da tutti i grandi artisti e ricca di messaggi da decifrare poco alla volta.

Il carro che dondola verso la libertà
La storia di “Swing Low, Sweet Chariot”, uno degli spiritual più noti della tradizione americana, cantata da tutti i grandi artisti e ricca di messaggi da decifrare poco alla volta.
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Il carro che dondola verso la libertà
La storia di “Swing Low, Sweet Chariot”, uno degli spiritual più noti della tradizione americana, cantata da tutti i grandi artisti e ricca di messaggi da decifrare poco alla volta.
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AUTORE: Alberto Fraccacreta
Negli anni Sessanta dell’Ottocento, durante la guerra di secessione, Uncle Wallace Willis – “liberto” afroamericano che lavorava in una scuola della nazione indiana dei Choctaw, in Oklahoma – stimolato dalla visione del Red River scrisse uno degli spiritual più noti e cantati di tutta la tradizione americana, “Swing Low, Sweet Chariot”. Inciso solo nel 1909 dai Jubilee Singers della Fisk University di Nashville, fu dichiarato dalla Reichsmusikkammer della Germania nazista come pezzo «indesiderato e dannoso».
“Swing Low, Sweet Chariot” – che in seguito fu registrato da artisti come Johnny Cash, Joan Baez, Eric Clapton e Beyoncé – celebra la possibilità di una liberazione e, per il suo importante valore storico, è stato inserito tra le Songs of Century (assieme a “This Land Is Your Land” di Woody Guthrie, “Stand By Me” di Ben E. King, “Over The Rainbow” di Judy Garland). Successivamente è diventato uno dei più popolari inni dei tifosi inglesi di rugby. Il carro a cui si fa cenno nell’allitterante refrain («Dondola piano, dolce carro / che vieni per portarmi a casa») è quello del profeta Elia in 2Re 2,11: «Mentre camminavano conversando, ecco un carro di fuoco e cavalli di fuoco si interposero fra loro due. Elia salì nel turbine verso il cielo». Nella prima strofa della canzone è detto icasticamente: «Guardai oltre il Giordano / e quello che vidi [fu] / una schiera di angeli venuti per me, / venuti per portarmi a casa».
Sembra abbastanza chiaro il significato metafisico-escatologico del brano, ma nelle pieghe del testo potrebbe nascondersi anche qualche riferimento molto più fisico, se non addirittura “geografico”. Secondo alcuni storici della musica, infatti, sono presenti dispositivi metonimici – il fiume Giordano, la «casa», Gesù – che indicherebbero il desiderio degli oppressi di raggiungere la libertà (il 18 dicembre 1865 entrerà finalmente in vigore il tredicesimo emendamento). Si tratterebbe, cioè, di un vero e proprio progetto di fuga nascosto in questa canzone altamente criptosimbolica, al pari di “Steal Away to Jesus” e “Canaan”. Una sorta di mappa cifrata, che farebbe capo alla cosiddetta Ferrovia Sotterranea (si veda l’omonimo romanzo del 2016 di Colson Whitehead), la rete di luoghi sicuri propiziata nel XIX secolo dagli abolizionisti per favorire l’esodo in Stati “liberati” – quelli del Nord – o in Canada e in Messico. Attraverso appositi senhals gli schiavi ricevevano informazioni sull’arrivo della “guida” che li avrebbe tratti in salvo, lungo i percorsi segreti.
“Sweet Chariot” poteva essere agilmente modificato in “Sweet Harriet”, ossia Harriet Tubman, l’eroina dell’Underground Railroad soprannominata il «Mosè nero». O poteva suggerire di seguire nel viaggio l’Orsa Maggiore, come per “Follow the Drinking Gourd”. La struttura della canzone rispetta appieno gli stilemi degli spiritual: austere immagini bibliche, il sistema strofico di chiamata-risposta e un alternarsi di pronomi in prima e in seconda persona che evidenziano il rapporto tra l’esecutore, il pubblico e l’evento atteso. Chiamando in causa l’ascoltatore («Se arrivi prima di me»), Willis intendeva potenziare l’urgenza emotiva della melodia, che diveniva così emblema di un’intera comunità, di una speranza condivisa.
Alberto Fraccacreta
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