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Il Live Aid fu un ‘Internet’ analogico che unì il mondo

Tutto partì da un’idea di Bob Geldof che trasformò il il Live Aid del 13 luglio 1985 in un evento di cooperazione mondiale contro la povertà in Africa. Un vero e proprio passaparola che ricorda l’ “internet analogico” degli anni Ottanta.
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Il Live Aid fu un ‘Internet’ analogico che unì il mondo

Tutto partì da un’idea di Bob Geldof che trasformò il il Live Aid del 13 luglio 1985 in un evento di cooperazione mondiale contro la povertà in Africa. Un vero e proprio passaparola che ricorda l’ “internet analogico” degli anni Ottanta.
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Il Live Aid fu un ‘Internet’ analogico che unì il mondo

Tutto partì da un’idea di Bob Geldof che trasformò il il Live Aid del 13 luglio 1985 in un evento di cooperazione mondiale contro la povertà in Africa. Un vero e proprio passaparola che ricorda l’ “internet analogico” degli anni Ottanta.
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Tutto partì da un’idea di Bob Geldof che trasformò il il Live Aid del 13 luglio 1985 in un evento di cooperazione mondiale contro la povertà in Africa. Un vero e proprio passaparola che ricorda l’ “internet analogico” degli anni Ottanta.
Natale di trentasette anni fa. Londra. Negli Sam West Studios si coagula la crema poppettara (ma anche rock) della scena mondiale. Lo scopo? Produrre un brano corale, pochi accordi e campane di Natale suonate da un sintetizzatore DX7 che ricordi al mondo che c’è gente che ancora muore di fame. L’idea è venuta a Bob Geldof. Sì proprio lui, lo sgangherato frontman della band post punk Boomtown Rats, un solo grande successo (“I don’t like Mondays”), buoni testi e musica così e così, poco avvezzo a lavarsi (affermazione sua), umoralmente instabile, non certo uno dell’oligarchia rock dell’epoca. Eppure la sua voce, che passa attraverso il filo di un vecchio telefono del 1956, è autorevole. Tutte o quasi le star hanno risposto all’adunata. Tutti vogliono dare una mano. È successo che, qualche settimana prima, la condizione esistenziale di Geldof – caratterialmente apatica o (affermazione sua) «sprofondata nel nulla» – sia stata letteralmente defibrillata da un documentario della Bbc. Un reportage sulla fame in Etiopia, con sequenze di bambini malnutriti, povertà, mosche che danzano sopra carcasse. Uno strazio che i suoi occhi e il suo cuore hanno potuto affrontare solo con una colata di lacrime. Accade tutto in fretta. Bob telefona alla sua compagna. Anche lei sta piangendo, anche lei ha guardato la tv. Partono altre mille telefonate. «Dobbiamo fare qualcosa» è il mantra che Geldof inocula via cavo a tutti i nababbi rock dell’establishment anglofono. Do They Know it’s Christmas Time? è il brano che scrive assieme a Midge Ure degli Ultravox, confezionandolo in una sola giornata di sessione. La voce di Sting, Bono, Boy George, George Michael e Simon Le Bon, la batteria di Phil Collins, le Bananarama e gli Spandau Ballet, insomma gli interi anni Ottanta in musica irrompono in quel Natale del 1984 per ricordarci che per qualcuno in Africa non è affatto festa. Successo mondiale. Gli introiti del disco serviranno a raccogliere fondi per combattere la malnutrizione. Geldof litigherà pubblicamente con la Thatcher. All’epoca l’Inghilterra ha un pazzesco disavanzo nella produzione del burro e l’olio di burro è l’alimento base della popolazione d’Etiopia. Per Bob l’equazione è semplice. Per la Thatcher non lo è affatto. Ma lui non si ferma. Ancora quel telefono del 1956, all’epoca l’unico strumento social oltre a lettere, cartoline e pub. Dalla casa della sua compagna partono centinaia di telefonate (Bob Geldof dichiarerà in seguito di aver coperto i debiti da bolletta in un paio d’anni). Direzione: le rockstar di tutto il mondo. Gli Stati Uniti ricevono e anche loro si organizzano. È il 13 luglio 1985, il giorno del Live Aid. Tutto il mondo si sintonizza sull’evento. Il resto è storia. Apriranno gli Status Quo, presente lady Diana, i Queen saranno la regina della serata, Elvis Costello intonerà “All you need is love”, per gli U2 c’è una “Bloody Sunday” ancora da ricordare e poi Jagger, Bowie, gli Who, Sting e Phil Collins insieme, i Dire Straits. Paul McCartney è la ciliegina sulla torta. “Let it be” il giusto finale. Ma qualcosa va storto. Il fonico dei Queen leva un jack di troppo e buona metà dell’esibizione del Macca l’ascolta solo l’uomo al mixer. L’evento è comunque memorabile. Come Woodstock, per qualcuno più di Woodstock. Tutto partito da una motivazione profonda e un vecchio telefono. Geldof, purtroppo, non ha risolto i problemi della fame d’Etiopia. Buona parte degli introiti fu bloccata. Episodi di corruzione e rapine di bande locali azzopparono l’operazione. Aveva ragione la Thatcher. La musica rende la gente felice e la gente d’Occidente quel giorno di luglio fu veramente felice. Ma la politica è un’altra cosa.   di McGraffio

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