Il racconto del Vajont
Lunedì prossimo ricorreranno i 60 anni da quell’infausta notte del 1963 in cui morirono 1.1910 persone a causa di una frana precipitata dal Monte Toc
| Cultura
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Lunedì prossimo ricorreranno i 60 anni da quell’infausta notte del 1963 in cui morirono 1.1910 persone a causa di una frana precipitata dal Monte Toc
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Lunedì prossimo ricorreranno i 60 anni da quell’infausta notte del 1963 in cui morirono 1.1910 persone a causa di una frana precipitata dal Monte Toc
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Lunedì prossimo ricorreranno i 60 anni da quell’infausta notte del 1963 in cui morirono 1.1910 persone a causa di una frana precipitata dal Monte Toc
S’intitola “Sulla pelle viva” e lo ha scritto la redattrice de “L’Unità” Tina Merlin, la cui vita ha contorni che ben si sposerebbero con la finzione letteraria. Ex staffetta delle brigate partigiane, consigliere provinciale del Pci e fondatrice dell’Istituto storico bellunese della Resistenza, fra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio di quelli Sessanta si pone una missione: raccogliere le denunce degli abitanti dei Comuni di Erto e Casso, nella provincia di Pordenone, sui potenziali pericoli correlati alla messa in opera della limitrofa diga del Vajont.
La sua battaglia non soltanto viene ignorata ma addirittura la trascina in tribunale: a denunciarla è Vittorio Cini, l’allora presidente della Sade (l’ente incaricato della realizzazione della diga). Merlin purtroppo ha ragione. Il 9 ottobre 1963 una gigantesca frana precipita dal Monte Toc nel bacino artificiale creato dalla diga, invade i paesi circostanti e si porta via 1.910 persone.
“Sulla pelle viva” contiene tutta intera questa storia ma nessuno intende pubblicarlo. Arriverà nelle librerie soltanto nel 1983, dopo anni di battaglie. Finisce così nelle mani di un giovane drammaturgo bellunese di nome Marco Paolini. Questi lo adatta, lo integra con altre fonti e decide di farne una trasposizione scenica in un monologo del 1993 dal titolo “Il racconto del Vajont”. L’esperimento di teatro civile che mette in atto ottiene un successo strepitoso. Nelle vesti di narratore Paolini guida lo spettatore attraverso i fatti che portarono a quei tragici eventi, mettendo ordine fra cronaca, storia e vicende umane con un’accuratezza che ha il preciso scopo di non lasciare zone d’ombra.
L’impatto della sua opera è tale che la Rai decide di proporla nel 1997 in occasione dell’anniversario della tragedia, ottenendo un successo incredibile. Il grande pubblico scopre così un nuovo modo di alimentare la memoria storica tramite il teatro: una scuola che ha prodotto altri illustri esponenti (da Ascanio Celestini a Mario Perrotta) e trasformato, in un certo senso, il concetto di narrazione così come fino ad allora era stato inteso. Fornendogli, oltre che nobiltà letteraria, anche valore sociale.
Lunedì prossimo ricorreranno i 60 anni da quella infausta notte. In 130 teatri d’Italia diverse compagnie metteranno contemporaneamente in scena il monologo di Paolini e lui stesso, allo “Strehler” di Milano, ne proporrà una nuova versione, integrata con nuovi elementi. Alle 22:39, l’ora della tragedia, tutti però si fermeranno. Per ricordare – soprattutto in tempi come questi nei quali qualcuno continua colpevolmente a sottovalutare i pericolosi segnali che la natura ci invia – che la luce della memoria non deve spegnersi mai. Mantenerla viva è compito di ciascuno di noi.
di Stefano Faina e Silvio Napolitano
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