Il vinile del desiderio
Il 2021 conferma e anzi rafforza il ritorno del vinile. Nel Regno Unito si sono registrati cinque milioni di dischi venduti, il numero più alto dal 1991. In Italia +121% rispetto al 2020.
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Il 2021 conferma e anzi rafforza il ritorno del vinile. Nel Regno Unito si sono registrati cinque milioni di dischi venduti, il numero più alto dal 1991. In Italia +121% rispetto al 2020.
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Il 2021 conferma e anzi rafforza il ritorno del vinile. Nel Regno Unito si sono registrati cinque milioni di dischi venduti, il numero più alto dal 1991. In Italia +121% rispetto al 2020.
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Il 2021 conferma e anzi rafforza il ritorno del vinile. Nel Regno Unito si sono registrati cinque milioni di dischi venduti, il numero più alto dal 1991. In Italia +121% rispetto al 2020.
L’artwork per la copertina, quel sibilo nostalgico. Eppoi la carta tra le mani, quella musica fisica, corporea, nell’era della pandemia e delle sue assenze forzate. Il 2021 conferma, anzi rafforza, il ritorno del vinile. Uno dei riferimenti è il mercato americano, in cui la vendita dei 33 giri è in salita per il 16esimo anno in fila, arrivando a quota 41,7 milioni di dischi, oltre il 45% in più rispetto al 2006 (secondo le stime di Mrc Data), ovvero il primo anno in cui si è registrato il cambio di marcia dei vinili dopo la profonda crisi degli anni Ottanta e Novanta. Gli Lp hanno rappresentato oltre il 50% delle vendite del mercato discografico americano, più del combinato disposto tra cd e album in digitale.
Il dato va però incastrato nelle vendite complessive: il segmento dei vinili è ancora marginale, rappresenta poco meno del 5%, mentre la voce d’entrata principale per le etichette discografiche e per gli artisti resta lo streaming, i download a pagamento delle singole canzoni e degli album sulle principali piattaforme per l’ascolto di musica. Ma la domanda di 33 giri è comunque alta, il fenomeno è globale: cinque milioni di vinili venduti nel Regno Unito nel 2021, il dato più elevato dal 1991. È così anche in Italia: nel primo trimestre del 2021 i vinili hanno occupato l’11% del mercato, +121% nelle vendite rispetto allo stesso periodo del 2020. Forse conta anche l’effetto nostalgia, un elemento fisico che compensa a livello emotivo le distanze issate dalla pandemia. Quest’ultima ha però creato ostacoli, spesso la produzione non ha tenuto il passo del mercato.
La realizzazione di un vinile resta un processo lungo e laborioso. Un paio di anni fa un incendio alla Apollo Masters Corp. (una delle due aziende che produce dischi in acetato, componente indispensabile per la produzione di vinili) ha messo fuori causa la fabbrica che produceva circa l’80% di vinili mondiali. In generale, produrre dischi in acetato è un processo chimico, ora ci sono vincoli ambientali restrittivi ma il problema resta la domanda che è eccessiva per una produzione ancora artigianale. Un successo planetario come “Thriller” di Michael Jackson, nei negozi 40 anni fa, venduto in 70 milioni di copie (il vinile più venduto di sempre) sarebbe insostenibile. Le fabbriche che producevano dischi in vinile, divenute obsolete negli anni Ottanta e Novanta, sono sparite. Negli Stati Uniti alcune sono ricomparse, ma per produrre dischi in serie vanno utilizzate delle presse che non sono più in fabbricazione. L’utilizzo di quelle usate negli anni Sessanta e ora assemblate costa parecchio, una pressa di nuovo conio costa oltre mezzo milione di dollari. Quindi i vinili sul mercato restano pochi. E i prezzi volano.
di Nicola Sellitti
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Tag: musica
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