John Steinbeck, la logorante attesa del successo
John Steinbeck, un working class hero e un’intera vita dedicata all’inseguimento di un sogno: diventare narratore riconosciuto
John Steinbeck, la logorante attesa del successo
John Steinbeck, un working class hero e un’intera vita dedicata all’inseguimento di un sogno: diventare narratore riconosciuto
John Steinbeck, la logorante attesa del successo
John Steinbeck, un working class hero e un’intera vita dedicata all’inseguimento di un sogno: diventare narratore riconosciuto
John Steinbeck, un working class hero e un’intera vita dedicata all’inseguimento di un sogno: diventare narratore riconosciuto
Quando Bruce Springsteen sul palco di Sanremo 1996 intonò “The Ghost of Tom Joad” con la chitarra acustica e l’armonica a bocca, il pubblico italiano poté intravedere tutto il riscatto del working class hero, l’avveramento e quasi l’incarnazione della profezia di Joad.
John Steinbeck, autore di “The Grapes of Wrath” (“Furore”, 1939), era uno che ce l’aveva fatta e così Springsteen: ma quanti Tom Joad erano dovuti passare sotto il giogo dell’emarginazione, dell’ingiustizia sociale, dell’impossibilità di realizzare l’american dream? L’intera vita di Steinbeck è stata all’insegna dell’inseguimento e del raggiungimento di quel sogno: il poter diventare narratore riconosciuto, il poter vivere della sua penna sferzante. Senza compromessi, sempre con un occhio di riguardo verso i reietti d’America.
Fernanda Rossini nella biografia “John Steinbeck. Voce inquieta del sogno americano”(Edizioni Ares), dopo il puntuale profilo offerto con “Flannery O’Connor. Vita, opere, incontri” (2021), intende ripercorrere la parabola esistenziale e letteraria dello scrittore di Salinas, facendo particolare attenzione al contesto storico. «Non ha ancora compiuto due anni – osserva Rossini nelle prime pagine del libro – quando i fratelli Wright provano l’ebrezza del volo e a solo pochi mesi della sua morte Neil Armstrong calpesterà per la prima volta il suolo lunare: nel mezzo un capitolo di storia complesso e travagliato che Steinbeck vive, osserva e racconta. La sua voce disincantata non si disperde mai nel guazzabuglio degli eventi e ne costituisce quasi una forma di autocoscienza».
E poi: «Steinbeck concentra le sue convinzioni sull’arte dello scrivere, sulle capacità creative individuali e sulle responsabilità personali in un’epoca di profondo cambiamento e di importanti progressi scientifici, in cui l’uomo si è attribuito molti dei poteri un tempo ritenuti “divini”».
L’appassionato resoconto di Rossini procede dai primi anni alla fase del lento apprendistato, fino al successo raggiunto proprio con “Furore”(che riceverà il premio Pulitzer 1940) grazie anche all’incontro decisivo con l’editore Pascal ‘Pat’ Covici, «collaboratore e coscienza» di Steinbeck. I tumultuosi rapporti con le tre mogli (Carol Henning, Gwyndolyn Conger ed Elaine Anderson), la professione di giornalista e di reporter dal fronte, la stesura di autentici capolavori come “Uomini e topi”(1937) e “La valle dell’Eden”(1952, considerato da Steinbeck il suo testo più importante), il conferimento del premio Nobel per la letteratura nel 1962 «per le sue scritture realistiche ed immaginative, che uniscono l’umore sensibile e la percezione sociale acuta»: siamo di fronte a un’«anima inquieta» che ha provato a trovare «le parole per raccontare l’impossibile», che è stato «con la valigia sempre in mano» per esplorare nuovi luoghi e situazioni capaci di ispirarlo.
Nonostante le molteplici contraddizioni, Steinbeck ha cercato di ritrarre il più possibile «un’America vera», fatta di aspirazioni e sofferenze, slanci e inesorabili cadute, con la sua scrittura di ossidiana, granitica, priva di compiacimenti.
di Alberto Fraccacreta
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