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“Milano, città che scorre”: La Milanesiana racconta il legame tra la città e l’acqua

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Questa sera, alle ore 18.00, la suggestiva cornice della Centrale dell’Acqua di MM ospiterà “Milano, città che scorre”, nella cornice de La Milanesiana. Di seguito il testo inedito che verrà letto da Piero Colaprico

Milano città che scorre

“Milano, città che scorre”: La Milanesiana racconta il legame tra la città e l’acqua

Questa sera, alle ore 18.00, la suggestiva cornice della Centrale dell’Acqua di MM ospiterà “Milano, città che scorre”, nella cornice de La Milanesiana. Di seguito il testo inedito che verrà letto da Piero Colaprico

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“Milano, città che scorre”: La Milanesiana racconta il legame tra la città e l’acqua

Questa sera, alle ore 18.00, la suggestiva cornice della Centrale dell’Acqua di MM ospiterà “Milano, città che scorre”, nella cornice de La Milanesiana. Di seguito il testo inedito che verrà letto da Piero Colaprico

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Questa sera, alle ore 18.00, la suggestiva cornice della Centrale dell’Acqua di MM ospiterà “Milano, città che scorre”, un evento che intreccia riflessione, letteratura e musica per esplorare il profondo legame tra Milano e l’acqua. La serata fa parte del cartellone de La Milanesiana, manifestazione ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi, da sempre crocevia tra arti, pensiero e scienza.

Dopo i saluti istituzionali di Simone Dragone, Presidente di MM S.p.A., il pubblico potrà ascoltare le letture e gli interventi di tre figure di spicco del panorama culturale italiano: lo scrittore e diplomatico Diego Marani, il giornalista e autore Piero Colaprico e l’esperto di risorse idriche Giulio Boccaletti. Un dialogo a più voci che si snoderà attorno all’acqua come elemento identitario, storico e simbolico della città.

A chiudere la serata, la musica della pianista e compositrice Giuseppina Torre, che proporrà dal vivo alcuni brani dal suo ultimo album The Choice, regalando al pubblico un finale carico di emozione e bellezza.

Di seguito il racconto di Piero Colaprico, intitolato “Il Naviglio di Arlecchino”, che verrà letto questa sera. Si tratta di un thriller urbano ambientato a Milano, dove un misterioso sversamento di coloranti trasforma il Naviglio in un fiume arcobaleno. Dietro quello che sembra un’azione artistica o simbolica si cela in realtà un attentato spettacolare contro un discusso personaggio internazionale, il “macellaio” Sobolev.

Il Naviglio di Arlecchino

Il primo allarme era stato lanciato dal conducente di un furgone della nettezza urbana. Era l’alba, si sforzava di tenere gli occhi aperti e guardando giù dal ponte Alda Merini s’era spaventato: “Allora è vero, troppa LSD ti fa scemunire!”. Non era pazzo: la lieve corrente del Naviglio stava portando verso la Darsena una massa di acque dai colori sgargianti, gialli e verdi, viola e rosa. Più lontano, forse nella zona della chiesetta di San Cristoforo, una grande chiazza rosso sangue avanzava placida.

Due ore dopo, il questore, circondato dai suoi funzionari, sbottò: “Sarà il solito artista di ‘sta fava, come quelli che sporcano Fontana di Trevi, e per colpa di ‘sto bastardo alle 6 già dovevo tenere la manina al sindaco”. Il capo dell’ufficio politico ipotizzava un’azione di propaganda: “Non possono che essere stati i pacifisti, sventolano la bandiera arcobaleno sull’acqua. E manco posso andarli ad acchiappare, visto che ho il 90 per cento dei nostri a proteggere la visita di quel balordo di Christofer Eric Sobolev”.

“Cioè, abbiamo a Milano il macellaio di *? Il responsabile degli ultimi massacri di civili in tre guerre diverse? E che ci fa qui quell’animale?”, aveva chiesto allarmato il capo della squadra Mobile.

“Tranquillo, tutto okay. Vuole acquistare due aziende di automobili tedesche. Ha la sua scorta, autorizzata dal nostro ministero, e i suoi appuntamenti segreti. A noi ci chiamano solo per garantirgli le strade libere quando si sposta con il suo corteo di ex militari e mafiosi”.

Piero Colaprico

“Siamo diventati vigili urbani”, brontolò il capo della Mobile. E siccome toccavano a lui le indagini sul Naviglio technicolor, riassunse i fatti. Sia dai confini di via Chiesa Rossa, sia dal fondo del Naviglio Grande, all’altezza del capolinea Atm, si accavallavano in direzione della Darsena chiazze di vari colori. La notizia aveva richiamato i social e le tv, la stragrande maggioranza dei servizi giornalistici navigava tra la sorpresa e l’analisi di costume. “Venendo da Corsico verso Milano, c’è un ponte con intarsi a forma di esagono. Lo conoscete? Vabbè, fa niente. Ma da lì – spiegava ai funzionari il capo della Mobile – sono stati versati numerosi bidoni e poco lontano abbiamo recuperato un coperchio, con il logo di una ditta giapponese, la Takiara san. I Giap vendono in Francia e in Italia i loro sanissimi coloranti di pasticceria. Hanno il deposito per l’intera Europa da queste parti e l’altra notte almeno sei uomini li hanno rapinati. E portato via due Tir a pieno carico”. 

Quei Tir, stando al resoconto dei suoi segugi, erano stati a loro volta svuotati grazie a un piccolo esercito di furgoni bianchi nel piazzale di un Autogrill: “E non c’è un’impronta digitale o genetica, la Scientifica sta bestemmiando in turco”.

“Sono turchi? E che cazzo ci rubano le vernici a noi…”, aveva brontolato a mezza voce il questore. Nessuno osava dirgli che stava diventando sordo. “Infine, alcuni ignoti hanno assoldato i barboni che dormono sotto i ponti del Naviglio, 50 euro per attuare gli sversamenti. E – aggiunse il capo della Mobile – c’è da registrare un’altra stranezza…”.

La porta della sala riunioni venne spalancata dall’ispettrice della Omicidi, la trentenne ex atleta delle Fiamme Oro Barbara Pastori: “Uno dei senzacasa ci dice che alcuni uomini con un passamontagna nero hanno lanciato parecchie pietre dal ponte della Richard Ginori sino alla Darsena. E queste pietre erano collegate l’una all’altra da una gomena. Quindi, manderei i sommozzatori a…”.

“Ma chissenefrega delle pietre, magari è meglio recuperare i bidoni, o no? Quanti saranno?”, domandò il questore.

“Trecentocinquanta”, rispose il capo della Mobile. 

“Se si tratta di una performance artistica, signor questore, e io concordo con lei, l’ha ideata qualcuno con molto denaro. Procediamo per procurato allarme e danneggiamento e poi si vedrà”, propose il capo della Digos, che aveva la fama del lecchino dei superiori. 

“Massì, fate il possibile. Comunque, questa Milano così meno grigia grazie ai suoi corsi d’acqua arcobaleno, posso dirlo? Mi piace un casino”, esclamò il questore.

In realtà, la nebbia era sparita negli anni 90, le case di moda avevano reso Milano una capitale dei colori, delle stoffe, del maestro artigiano. L’Expo 2015 aveva aggiunto una dose di vita notturna senza precedenti. A essere grigia era solo la faccia dai bei lineamenti dell’ispettrice Pastori. Era tornata brontolando alla sua scrivania, non poco infastidita dall’atteggiamento rilassato dei colleghi: “Ma che ti frega, Barbara, e che sarà mai? Guarda che bel titolo che hanno fatto, «Viaggio sul Naviglio Arlecchino», e non è una figata ‘sta foto, con l’intera flotta della Canottieri Milano che rema nel giallo canarino?”. Forse avevano ragione, ma lei non si sentiva tranquilla. Più consultava i siti dei giornali, più vedeva moltiplicarsi spiegazioni senza capo né coda e deduzioni intollerabili, soprattutto per una che, come lei, laureata con 110 e lode in Filosofia, tesi sulla logica di Ludwig Wittgenstein. 

Inforcò la bici e pedalò sino alla Chiesa di San Cristoforo, a metà strada tra la Darsena e i circoli sportivi. Si fece largo tra la folla mostrando il tesserino, si sforzò per individuare sotto un’ondata color carminio con tocchi d’arancione le pietre che erano state lanciate nella notte da misteriosi uomini nerovestiti. Non si vedeva niente. Che cosa poteva e doveva fare? 

Anche se il suo turno di lavoro era finito, decise di restare in zona. Un B&B affacciato sull’Alzaia Naviglio Grande le permise di usare una camera con televisione. I vari tg intanto rendevano noto che gli ingredienti, dall’E418 all’E405, potevano andar bene anche per i vegani, quindi non c’era alcun pericolo. “Sarà”, si disse la poliziotta. 

Le ore passavano, così come le acque maculate, e l’ispettrice un po’ sonnecchiava, un po’ osservava dalla finestra il Naviglio. Sotto le luci dei lampioni, davvero sembrava l’Arlecchino messo in scena al Piccolo Teatro. Si fece anche lei una decina di selfie. Ma verso le 6, alcuni uomini in giacca e cravatta, che si sistemavano da una parte e dall’altra delle sponde, la svegliarono del tutto. 

Pochi istanti dopo, una lunga auto nera, scesa dal cavalcavia della circonvallazione dei filobus, scivolava sulla strada stretta verso la chiesa di San Cristoforo. Spuntava l’aurora e i coloranti splendevano di sfumature assurde e si riflettevano sui vetri delle case. Non meno di cento “protettori”, tra uomini e donne, a piedi, in moto, in auto erano sbucati da chissà dove per mettere in sicurezza la persona scortata. 

Era calato sull’intero quartiere Ticinese un silenzio totale, anche i ciclisti erano stati bloccati da qualche parte. Infine, ricevuto il via libera, un autista in livrea scese dall’auto e aprì la porta posteriore. Ne sbucò un uomo sui 50 anni, dal ciuffo spettinato sotto un cappellino da baseball, in jeans, maglietta fucsia e mocassini. Spinse il portone della Chiesa, evidentemente aperta per la sua visita, ed entrò, uscendone un minuto dopo. Infilò le mani in tasca, ne trasse una mazzetta di banconote, le dette all’autista e, parlando in inglese, ordinò: “Vai tu ad accendere tutte le candele per San Cristoforo, è il traghettatore, il portatore di Cristo, il protettore degli automobilisti. Non potevo andarmene da Milano senza sentire la sua presenza, che è molto forte, qui, in questo luogo, dal quale partirono i Crociati ai quali io m’ispiro per…”.

L’ispettrice Barbara Pastori aveva smesso di ascoltare. Nell’acqua blu scura emergevano – ne era certa – piccole bolle d’aria. Strane bolle. Piccole. Capaci di formare una serie di linee rette tra i colori. 

Aveva capito e stava per gridare, ma cinque uomini in tuta da sub erano appena emersi davanti alla vecchia chiesa, simili ad antiche divinità che sorgono dalle acque, scatenando una tempesta di piombo rovente contro l’uomo e la sua scorta. Sparavano sui due lati del Naviglio, mentre, scagliate da un lanciagranate piazzato chissà su quale tetto, erano piovute sull’auto almeno quattro bombe cariche di pezzi di metallo, senza lasciare scampo al loro obiettivo. 

Com’erano arrivati, i sub se n’erano andati, immersi nelle acque coloratissime. Ecco a che cosa servivano le pietre lanciate nel Naviglio con tanto di corda, a non perdere l’orientamento in una navigazione sott’acqua e alla cieca, pensò la poliziotta. E pensò che per catturare i killer sarebbe bastato seguire, come con i sassolini di Pollicino, la fila delle pietre. Sì, bisognava comunicare l’informazione. Sia ai superstiti della scorta, sia ai suoi colleghi, certo, certo, avrebbero potuto raggiungere chi aveva sparato a quell’uomo, che non poteva essere altri che Кристофер Эрика Соболев, e cioè Christofer Eric Sobolev, detto il macellaio di *. 

Rimise il telefonino in tasca e si stese sul letto, ascoltando il latrato delle prime sirene. Si chiese perché avesse taciuto. La risposta è logica, le disse il soffitto della stanza: tu Barbara Pastori sei entrata in polizia per difendere i più deboli e hai giurato fedeltà alla Costituzione, quindi alla democrazia. La tua coscienza di cittadina del mondo ti vieta persino di sprecare il cibo e l’acqua. Fai volontariato in un gattile. E, tra i tuoi serissimi studi di filosofia, non hai mai scordato il vecchio Talete. E’ stato uno dei pilastri della nascita del pensiero e ti piaceva una sua frase, da studentessa: “Niente è più raro – diceva – di un tiranno che invecchia”. 

L’ispettrice si alzò e andò alla finestra pensando che sì, non sarebbe stato sano per il mondo contemporaneo vedere invecchiare uno come Sobolev, uno dei nuovi tiranni globali, uno dei tanti convinti di poter commettere qualsiasi nefandezza e farla sempre e comunque franca. Sotto i suoi occhi il Naviglio Arlecchino scorreva. Guardò il telefono, era pieno di messaggi: i sub avevano trovato le prime pietre nella Darsena color Blu di Prussia, la stava cercando il questore, ma dov’era finita, perché non rispondeva?

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