Nellie Bly, pazza per il giornalismo
Dicembre 1887, Nellie Bly pubblica il suo reportage sul manicomio femminile di Blackwell’s Island. Ed è un terremoto. Grazie a quel reportage è appena nato il giornalismo investigativo sotto copertura

Nellie Bly, pazza per il giornalismo
Dicembre 1887, Nellie Bly pubblica il suo reportage sul manicomio femminile di Blackwell’s Island. Ed è un terremoto. Grazie a quel reportage è appena nato il giornalismo investigativo sotto copertura
Nellie Bly, pazza per il giornalismo
Dicembre 1887, Nellie Bly pubblica il suo reportage sul manicomio femminile di Blackwell’s Island. Ed è un terremoto. Grazie a quel reportage è appena nato il giornalismo investigativo sotto copertura
Una mattina del 1887, al 32esimo piano del Pulitzer Building, sede del “New York World”. Una giovane donna irrompe nell’ufficio del caporedattore John Cockerill. Ha 23 anni, si chiama Nellie Bly (pseudonimo di Elizabeth Jane Cochran), viene dalla Pennsylvania e ha già una breve carriera come giornalista alle spalle, con una parentesi addirittura da corrispondente in Messico. Ma all’epoca ha un’unica ambizione: scrivere per quello che è allora il giornale più importante d’America. Cockerill le propone una sfida impossibile: fingersi pazza, farsi internare nel famigerato manicomio femminile di Blackwell’s Island e raccontarne la vita dall’interno. Bly accetta, inconsapevole di quanto quella scelta avrebbe cambiato per sempre il giornalismo.
Per ottenere il ricovero la reporter ha una sua strategia. Anzitutto si introduce all’interno di una casa d’accoglienza per donne simulando comportamenti schizofrenici, così da attirare l’attenzione delle autorità. E infatti pochi giorni dopo la polizia la arresta, i medici le formulano una diagnosi di demenza e ne ordinano il trasferimento a Blackwell’s Island. Inizia così la cronaca di dieci giorni da incubo perché, nel manicomio, Nellie Bly trova ciò che temeva e molto di più: donne sane rinchiuse per povertà, ignoranza o scomodità sociale, abusi continui, maltrattamenti fisici e psicologici, cure inesistenti.
Lei documenta tutto: le urla notturne, i bagni in acqua gelida, le infermiere che stringono il collo alle pazienti e le colpiscono alla testa mentre nessuno, fra i medici dell’istituto, sembra interessato a distinguere tra follia e disagio, tra malattia e disperazione. La giornalista raccoglie le storie di donne dimenticate: Louise Schanz, colpevole soltanto di parlare tedesco; Tillie Mayard, sofferente di un semplice esaurimento nervoso; Sarah Fishbaum, internata dal marito per vendetta. Tutte destinate a non uscire mai più.
Liberata su intervento di un avvocato del “New York World”, Bly pubblica il suo reportage nel dicembre del 1887. Ed è un terremoto. I lettori restano scioccati, l’opinione pubblica si indigna e le autorità decidono di intervenire. Viene istituita una Commissione d’inchiesta che stanzia un milione di dollari per migliorare le condizioni dei manicomi. Grazie a quel reportage è appena nato il giornalismo investigativo sotto copertura.
Il successo clamoroso rappresenta per Nellie Bly l’inizio di una carriera brillante nel corso della quale realizzerà altre imprese. Si farà assumere in fabbrica per raccontare lo sfruttamento operaio, svelerà i meccanismi della corruzione politica fingendosi la moglie di un industriale e – nel 1889 – farà il giro del mondo in 72 giorni, superando il record immaginario di Phileas Fogg, il protagonista de “Il giro del mondo in 80 giorni” di Jules Verne. Nel 1895 Bly sposa un industriale, alla cui morte rileva l’azienda diventando così una delle prime imprenditrici statunitensi. Ma la carriera in quel campo è meno fortunata. Torna quindi al giornalismo come inviata dal fronte durante la Prima guerra mondiale. Morirà nel 1922 per una polmonite.
La storia di Nellie Bly non è soltanto quella di un gigante del giornalismo moderno, ma soprattutto quella di una donna che ha sfidato le convenzioni sociali e trasformato la stampa in un’arma al servizio della verità e dei diritti umani. Il suo messaggio resta attualissimo: per cambiare le cose bisogna avere il coraggio di entrare dove nessuno vuole guardare. E raccontare.
Di Stefano Faina e Silvio Napolitano
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