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Pertini, l’Arcitaliano che chiamò l’applauso generale

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Pertini, l’Arcitaliano che chiamò l’applauso generale. Il nuovo libro a cura di Marzio Breda e Stefano Caretti in cui Sandro Pertini racconta la sua vita: dai primi anni fino al Quirinale

Pertini

Pertini, l’Arcitaliano che chiamò l’applauso generale

Pertini, l’Arcitaliano che chiamò l’applauso generale. Il nuovo libro a cura di Marzio Breda e Stefano Caretti in cui Sandro Pertini racconta la sua vita: dai primi anni fino al Quirinale

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Pertini, l’Arcitaliano che chiamò l’applauso generale

Pertini, l’Arcitaliano che chiamò l’applauso generale. Il nuovo libro a cura di Marzio Breda e Stefano Caretti in cui Sandro Pertini racconta la sua vita: dai primi anni fino al Quirinale

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29 giugno 1985, festa di san Pietro e Paolo. Squilla il telefono, è Sandro Pertini: «Mi dica, professore, quanti presidenti della Repubblica ci sono in questo momento?». La risposta: «Uno: lei, signor Presidente». Lui nega: «Ah, no. C’è il pirla, sfiduciato dal Parlamento, e il sardo, fiduciato dal Parlamento. Le mando l’atto delle dimissioni, voglio vedere cosa avrà da dire. E poi fa bene Forattini a raffigurare Craxi con gli stivaloni». Prossimo ai novant’anni, teneva alla riconferma. Perciò si dimise per nervoso, come chiuse per nervoso bottega quell’artigiano in Santa Croce a Firenze dopo l’alluvione del 1966. E criticava il presidente del Consiglio da lui nominato perché, cane e gatto con i comunisti, rompeva quell’unità nazionale che lo aveva issato a larghissima maggioranza al Quirinale.

Un uomo dai gesti teatrali. Fresco presidente della Camera dei deputati, per giorni e giorni Giorgio Almirante e Giovanni Malagodi tengono in ostaggio l’assemblea di Montecitorio con l’ostruzionismo – correva l’anno 1969 – sulla legge elettorale regionale. I maggiorenti del Psi bussano alla porta di Pertini e gli dicono che basterà una certa interpretazione del regolamento parlamentare per debellare in quattro e quattr’otto l’ostruzionismo. Pertini, dopo averli ascoltati, li invita a togliersi di torno. Nel 1984 intende nominare in soprannumero senatori a vita Bo e Bobbio. Ma Crisafulli e altri costituzionalisti esprimono legittimi dubbi. Così Pertini, per il tramite del segretario generale Tonino Maccanico, chiede al presidente del Senato Francesco Cossiga di assumere la paternità dell’iniziativa. Quest’ultimo prende cappello, ma poi s’inventa un azzardato espediente procedurale per accontentare la bizza quirinalizia.

Rievoco questi episodi dopo aver letto il bel libro – curato da un quirinalista con i fiocchi come Marzio Breda e dallo storico Stefano Caretti, cresciuto alla scuola fiorentina di Scienze politiche – su “Sandro Pertini, Una certa idea di socialismo” (Solferino, pp. 222, € 17,50). Si tratta della sua vita raccontata da lui stesso: dai primi anni fino al Quirinale. Ma per aspera ad astra. Pertini fa di tutto per complicarsi l’esistenza per amore della libertà. Lui il fascismo lo combatte a viso aperto, senza infingimenti. Pronto a pagarne lo scotto. Uomo della Resistenza, si è detto. Ma la sua resistenza va retrodatata perché risale al tempo in cui si iscrive al partito socialista dopo l’assassinio di Matteotti nel 1924. Il carcere e il confino non lo ammorbidiscono. Ci appare un eroe uscito dalle pagine del nostro Risorgimento. Senza macchia e senza paura. Agli antipodi dei personaggi interpretati da Alberto Sordi. Un Arcitaliano, insomma, tra tanti afascisti del suo tempo, che prima credono di fingere, poi fingono di credere e alla fine finiscono magari per crederci soltanto perché tengono famiglia.

E qui entra in scena da par suo Breda con la splendida introduzione. Quanti compromessi durante il Ventennio. Sì, perché – come sosteneva la Buonanima – l’importante è durare. E così «gli afascisti galleggiavano, ondivaghi, aggrappati a un patetico orgoglio, convinti di salvarsi comunque». Ancora: «E allora eccoli trasformati in fascisti riluttanti o, se non avevano raggiunto gli obiettivi che si erano prefissi, in antifascisti tiepidi». Proprio così! Del resto, Winston Churchill così ci corbellava: «Un giorno 45 milioni di fascisti, il giorno dopo 45 milioni di antifascisti. Ma non mi risulta che gl’italiani siano 90 milioni». Nel Prologo Sergio Mattarella sottolinea che «l’integrità di Pertini, e la sua irruenza, lo rendevano spesso scomodo, anche alla sua parte politica». E nell’Appendice Ignazio Silone scrive che il grande nemico per lui era lo spirito di adattamento.

Poi Breda osserva: «Attivo nel partito e in Parlamento, Pertini non è incline ai discorsi barbosi, ai bizantinismi dei negoziati e alla spregiudicatezza di certi compromessi». Ne darà ulteriore prova al Quirinale. Favolosi i suoi discorsi di fine anno, come quelli al caminetto di Roosevelt. Pronto a usare la frusta nei confronti di una classe politica non sempre all’altezza. Un Castigamatti. Un’iradiddio. Anche per questo, il presidente di tutti gl’italiani. Tant’è che Almirante disse che, dopo il suo discorso d’insediamento, anche i parlamentari del Msi lo applaudirono.

Di Paolo Armaroli

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