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Rai, destra, sinistra e talento

Non si parla d’altro che di “Rai meloniana”. E se iniziassimo a pensare al talento come unica fonte di successo o insuccesso nel mondo dello spettacolo?
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Rai, destra, sinistra e talento

Non si parla d’altro che di “Rai meloniana”. E se iniziassimo a pensare al talento come unica fonte di successo o insuccesso nel mondo dello spettacolo?
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Rai, destra, sinistra e talento

Non si parla d’altro che di “Rai meloniana”. E se iniziassimo a pensare al talento come unica fonte di successo o insuccesso nel mondo dello spettacolo?
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Non si parla d’altro che di “Rai meloniana”. E se iniziassimo a pensare al talento come unica fonte di successo o insuccesso nel mondo dello spettacolo?
Non passa giorno che, in assenza di migliori notizie dai sondaggi che non cambiano mai e da mobilitazioni che non infiammano le piazze, la stampa vicino all’opposizione non spari a palle incatenate contro la cosiddetta “Rai meloniana“. Almeno la vecchia, cara Rai continua a garantire un po’ di soddisfazione alle sfilacciate truppe d’opposizione, con i disastrosi esiti di quasi tutti i programmi legati ai primi palinsesti disegnati nella TV di Stato a “controllo“ di destra. Non staremo qui a farne l’elenco, proprio perché arcinoto e ormai diventato uno dei pochi motivi di soddisfazione di chi proprio non sopporta l’attuale maggioranza di governo e i suoi leader. Un gioco eterno, quello che si consuma sulla televisione di Stato e che ha caratterizzato praticamente l’intera seconda Repubblica. Tutta la parabola berlusconiana, dalla sua discesa in campo quasi fino alla scomparsa. Nulla di nuovo, compreso i roboanti allarmi lanciati – ora da destra, ora da sinistra – sugli attentati alla democrazia, al pluralismo e alla libertà di parola. Un teatrino sempre uguale, semplicemente destinato a ripetersi a parti invertite seguendo l’andamento ondivago delle rispettive vittorie e sconfitte. Mai una volta che tutti questi pensosi critici dell’arte televisiva si siano soffermati su una considerazione basilare e persino banale: finché non avverrà qualcosa di assolutamente rivoluzionario, il successo e l’insuccesso in attività mediatiche legate allo spettacolo e all’informazione sarà sempre determinato dal talento, dalle risorse individuali e di team, dalle idee, dalla capacità di realizzarli. Mai dal solo schierarsi a favore di questo o quel potente. Mentre si starnazza alla morte della democrazia in televisione – peraltro come se il panorama televisivo e dei media fosse ancora quello degli anni ‘80 del secolo scorso – forse converrebbe riflettere più che altro sulla qualità di chi fa bene e chi fa male il proprio mestiere. Fazio aveva il suo pubblico a Raidue e se lo è portato sui canali Discovery, la Berlinguer era regolarmente battuta da Floris alla Rai e nulla è cambiato a Mediaset. Non è che la supposta “epurazione“ li abbia trasformati: sono rimasti esattamente quello che erano. Fiorello funzionerebbe su qualsiasi canale, a qualsiasi ora. Il talento batte la politica e la politica non regala talento. di Fulvio Giuliani

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